La Pentecoste non ci lascia tranquilli nelle nostre tane, rifugi; ma scomoda, mette in movimento, spinge ad uscire. Per vivere bisogna uscire, non si può restare chiusi dentro.
La nostra nascita biologica, l’inizio della vita, è stata un uscire dal grembo della mamma. Un uscire doloroso e traumatico, ma pieno di vita, occasione di vita, necessità di vita.
50 giorni fa festeggiavamo la Pasqua: Gesù che è risorto, tornato in vita.
Oggi la Pentecoste: la mia Pasqua, la mia resurrezione. A Pentecoste la resurrezione di Cristo diventa la mia resurrezione; con lo Spirito Santo inizia la mia vita nuova. Si realizza la promessa di Gesù e del Padre: “Vi manderò lo Spirito Santo” sopra ogni uomo (Gioele).
Lo Spirito Santo, dono del Padre, è la vita divina in noi, vita nuova. Come fece uscire Cristo dal sepolcro, così fa uscire noi dalle nostre tombe (dai nostri cenacoli).
In Ezechiele 37: «Dice il Signore Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe … Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete».
Nel sepolcro c’è la morte, il buio, la fine, il limite; nella resurrezione vita, luce, gioia ed eternità. Nel sepolcro Cristo scese agli Inferi dell’umanità per aiutarla a risorgere.
Nei nostri Inferi sperimentiamo che Cristo con la forza dello Spirito Santo ci ridona la vita: da morti ci rende vivi.
Molte volte nella vita siamo dei morti, degli zombie, dei morti in piedi non abbiamo entusiasmo e gioia di vivere, manchiamo di creatività e vivacità. Ci lasciamo schiacciare ed uccidere dalla noia, dalla monotonia, dai nostri schemi mentali di vita e pensiero, dalle nostre abitudini.
Spesso ci siamo abituati alle nostre morti e non ci accorgiamo di come esse siano così presenti nella nostra vita e come abbiano intaccato i nostri pensieri, azioni ed emozioni fino a diventare abituali e normali nella nostra vita. Noi ci siamo abituati ai nostri Inferi e che in fondo ci danno un senso di sicurezza, tanto che a volte non vogliamo scomodarci da essi. Meglio lì che altrove di cui non ho certezze: ci accontentiamo, ci rassegniamo, ci lasciamo morire. Abbiamo una cultura della morte dentro di noi, che difendiamo e giustifichiamo per paura della novità, scoraggiati pensiamo: “Tanto non cambia nulla, inutile tentare …”.
Quando si critica, si è sospettosi e si ha paura delle novità siamo già dei morti.
Con il dono dello Spirito Santo il Risorto fa rivivere i discepoli, prima morti di paura e chiusi nel cenacolo, poi pieni di vita uscire dai loro sepolcri, dal cenacolo per essere testimoni ed annunciatori del Risorto e della propria resurrezione al mondo.
A noi, come al bambino nel grembo, piace stare in ambienti rassicuranti e comodi; ma alla lunga ci porta alla morte. Il bambino dopo nove mesi deve uscire dal grembo se no muore.
Il discepolo non è fatto per stare in ambienti chiusi e rassicuranti: comunità, parrocchie, movimenti, … altrimenti la sua vita si blocca e diventa stagnante. Il discepolo è chiamato per essere apostolo, missionario, non come possibilità (optional, facoltativo), ma come necessità di vita. Il discepolo-missionario se vuole vivere, essere vitale, deve uscire dai suoi sepolcri (punti morte) e dai suoi cenacoli (punti tranquilli e rassicuranti).
Papa Francesco desidera vedere una Chiesa in uscita, perché è l’unico modo per rimanere viva e non morta. L’uscire per la Chiesa è necessario per vivere. Una Chiesa che non esce dai cenacoli, dai sepolcri è destinata a morire e a scomparire, a soffocare.
La Pentecoste ci ricorda che la Chiesa esiste per evangelizzare, per uscire, … anzi nell’evangelizzare e nell’uscire trova la sua vita, vitalità, creatività, prossimità, …
Molte volte mi hanno spiegato, fin da piccolo, che nel giorno di Pentecoste è nata la Chiesa. Verissimo!!! La Chiesa è nata quando ha iniziato ad uscire dal cenacolo, a uscire dal grembo.
Chi ha paura di uscire è destinato a morire … non abbiamo alternative o si esce o si muore.
pFra