Gesù sta tornando, dopo la festa di Pasqua, dalla Giudea alla Galilea: è un uomo in cammino, che difficilmente sosta. Se lo fa è perché ha qualcosa di importante da dire e che non può trattenere. Nel cammino non è solo ma accompagnato dai suoi che hanno il privilegio di viverlo nel privato, in ciò che spesso non è riportato dalle parole. E’ il segreto intimo, affettivo, che esprime il legame tra i suoi e Lui; tra noi e Lui, tra me e Lui.
“Giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar: qui c’era un pozzo di Giacobbe” (Gv 4,5a.6a) mentre “i suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi” (Gv 4,8). Gesù rimane dunque solo al pozzo, “affaticato per il viaggio” (Gv 4,6b): questa sosta è premeditata, nasconde in sé i germi di un annuncio nuovo a rischio d’incomprensione. Gesù sa quando deve fermarsi, per attenderci.
Il pozzo, secondo la narrativa veterotestamentaria, è luogo di conoscenza tra uomo e donna: al pozzo Isacco conosce Rebecca, così come Giacobbe incontra Rachele. Il pozzo è la “piazza”, in cui le fanciulle andavano insieme ad attingere acqua, a chiacchierare e a sperare di incontrare uomo per ammogliarsi. Il pozzo è una sorta di “Amici” moderno: le “troniste” erano le ragazze; i pretendenti, con la scusa di bere, si avvicinavano. Il racconto giovanneo, dunque, è volutamente ambiguo: si narra di un fidanzamento, di un matrimonio, di un patto; nuovo eppur antico: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile” (Es 20,2).
L’ora è insolita: “era circa mezzogiorno” (Gv 4,6c). L’ora più calda, in cui certamente era meglio non uscire dalla propria abitazione. A prendere l’acqua si va in compagnia la mattina, quando ancora è fresco, o al tramontare. La donna giunge proprio a quell’ora: probabilmente si trova in uno stato in cui preferisce non farsi vedere da nessun altro. La donna è a disagio, preferisce sopportare l’ora più calda che il giudizio delle altre.
L’iniziativa è di Gesù: “dammi da bere” (Gv 4,7b). La donna, che si aspettava, come tutti gli altri giorni, di non trovare nessuno rimane spiazzata e domanda, con sospetto: “come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?” (Gv 4,9). Giudei e Samaritani non si amavano; anzi i Samaritani furono emarginati dai Giudei, considerandoli impuri e infedeli. La Samaria era un territorio misto, di culture e di culti, ufficialmente scartato dai Giudei, che si ritenevano superiori e giusti. I Giudei sono abili nella “cultura dello scarto”.
Gesù si manifesta alla donna come portatore di “acqua viva” (Gv 4,10b), cioè la risposta definitiva al bisogno umano. Quella donna cercava conforto in acque che non dissetavano, cercava di rispondere alla sete che aveva nel cuore con acque avvelenate. “Chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,14). La promessa di Gesù è promessa del Suo Spirito; se non ci dissetiamo alle sorgenti dello Spirito rischieremo di essere assetati in eterno! Tutto ciò che ancora ci manca è mancanza di Spirito.
“Signore dammi quest’acqua” (Gv 4,15a) è il desiderio della donna, che deve divenire anche il nostro. Dobbiamo riconoscere che l’unico portatore di acqua viva è Gesù; Egli è l’unico che realizza l’uomo, pienamente e nuovamente. Quella donna ha “provato” altre sorgenti, sposandosi cinque volte e – diremmo in una forma più moderna – convivendo ora con un sesto uomo. Il testo non è moralista e certo non vuole avere un pre-giudizio sulla donna; ogni lettura di questo tipo dunque decade poiché Gesù non è il “moralizzatore” mandato dal Padre.
Gesù è cultore di incontro con l’altro, il diverso, l’immigrato, l’emarginato. I suoi, tornati dalla città, “si meravigliavano che parlasse con una donna” (Gv 4,27a); anche loro hanno bisogno di convertirsi dal pregiudizio. La cultura dell’incontro ci aiuta a eliminare in noi i pregiudizi di altri e che facciamo, per assimilazione, anche nostri.
Gesù riordina le idee della donna, senza condanna o accusa ma facendola sentire conosciuta. Prima riordina le idee affettive e culturali con un forte simbolismo sponsale: ora è Gesù il settimo e definitivo uomo che sancisce un patto con lei, un patto definitivo, eterno. Gesù ristabilisce prima la persona nella sua interezza, nella sua dignità e nella sua identità. Lui vuole fidanzarsi con noi, stringere un patto; Lui ci aspetta al pozzo per convertirci, per legarci indissolubilmente. Lui che è “un Dio geloso” (Es 20,5): parola di alleanza!
Il secondo piano di idee che viene riordinato è quello del culto, è quello nei riguardi di Dio. Anche su questa questione c’era divisione tra i Giudei che predicavano il solo culto in Gerusalemme e i Samaritani che adoravano Dio sul monte Garizìm. I due erano rivali anche nel culto. E qui Gesù interviene: “Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano” (Gv 4,21.23-24). Gesù slega l’adorazione dal tempio, da un luogo prestabilito, aprendola al tempo: ecco il mistero del cristiano non più legato ad un edifico cultuale ma alla storia. Dio si adora nello Spirito – l’acqua che zampilla dentro di noi – e in Gesù – la Verità.
Dal medesimo Spirito “di sapienza e di rivelazione” (Ef 1,17) riceviamo dal Padre l’esperienza sensibile della “straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi” (Ef 1,19) manifestata “in Cristo” (Ef 1,20) e donata “alla Chiesa: essa è il corpo di lui, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose” (Ef 1,22-23). Chiesa rappresentata per analogia dalla donna samaritana; Essa è quella “casta meretrix” (Ambrogio) che a volte corre il rischio di perdersi dietro ad altre sorgenti, ad altri mariti. La Chiesa ha bisogno di una perenne rinfrescata nell’acqua viva dello Spirito.
La donna, dall’incontro con Cristo, è trasformata, è redenta poiché amata e conosciuta; subito diviene portatrice del messaggio di salvezza che l’ha investita; diviene apostola, tornando di corsa in città annunciando a tutti: “Venite a vedere” (Gv 4,29a). L’evangelizzazione nasce dalla liberazione di sé, dalla redenzione. Solo chi davvero si è immerso nell’amore di Dio può correre da tutti i fratelli uomini per invitarli a prendere parte all’ “eredità” (Ef 1,18b).
I discepoli, tornati dal Maestro, lo pregano di mangiare. Egli rifiuta, motivando però che il suo nutrimento è altro: “Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” (Gv 4,34). Il cibo di Gesù, ciò che lo tiene in vita, è il legame profondissimo e filiale con il Padre in rapporto alla sua missione di salvezza.
Solo quando avrà salvato tutti, legando a sé tutti gli uomini, Gesù sarà sazio!
Alessandro