Il compito assunto dalla liturgia di questa prima domenica dopo Pentecoste è quanto mai arduo. Il mistero contemplato è quello di Dio Uno-Trino. La rivelazione di Gesù ci mostra che Egli non è Solo, pur rimanendo Uno. Gesù, il mandato, entra nella storia nel nome del Padre, il mandante, rivelando lo Spirito, la missione.
Le letture della liturgia ci presentano l’essenza di Dio, la differenza delle Persone e il nostro implicarsi con Loro.
Mosè fa esperienza di Dio mentre sta pascolando il gregge del suocero. Egli è incuriosito dal roveto che “ardeva per il fuoco, ma non si consumava” (Es 3,2b). E questo ci dice già molto su Chi sia Dio. Questo roveto, pur ardendo, non brucia. Così è Dio nella sua natura: è fuoco che sempre arde ma non consuma. Occorre accostarsi a questo mistero con il cuore e non con l’intelligenza, per questo Dio richiama Mosè: “non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!” (Es 3,5). Occorre toglierci i sandali della presunzione di saper tutto e di comprendere ogni cosa quando ci avviciniamo a Dio. Dio è fiamma d’amore che sempre arde; Mosè, pur non sapendolo, incontra le Tre Persone in quel fuoco, si imbatte nell’essenza divina stessa. Mosè fa esperienza di ciò che circola tra il Padre, il Figlio e lo Spirito: l’amore. I Tre sono uniti in una sorta di danza sacra, che emana passione focale. Mosè assiste all’eterno ballo che circola fin dal principio tra le Tre Persone e ne rimane ammaliato.
L’uomo ha l’ardire di chiedere al fuoco, a Dio: “qual è il tuo nome?” (Es 3,13b). Mosè è scelto per andare a liberare il popolo ma avverte ancora la paura e l’incertezza della missione. Chi è Colui che mi manda? Quale il Suo nome? Il nominare dà potere all’uomo; chiamare per nome una persona o un oggetto ci fa sentire proprietari indiscussi. Mosè vuole avere la sicurezza di Chi sia il mandante. E Dio, l’eterna danza, darà a Mosè una risposta che non merita contraddittorio: “Io sono colui che sono!” (Es 3,14). Questa è la melodia sulla quale le Tre Persone danzano. Dio non permette in alcun modo l’utilizzo idolatrico del suo nome, andando al di là di un semplice miscuglio di lettere. Egli si sta rivelando a Mosè come Colui che è presente, da sempre e per sempre. Lui è Colui che semplicemente c’è. E’ Colui che “osserva la miseria del popolo, ascolta il suo grido, conosce le sofferenze e scende per liberarlo” (Es 3,7-8a). Dio c’è! Questa è la più profonda essenza di Dio. Il Suo essere Padre, il Suo essere Figlio e il Suo essere Spirito. E’ Dio per noi; è Dio con noi; e’ Dio in noi.
Eppure dovremmo confessare una visione distorta che ancora tenta di predominare in noi. In noi risiede infatti una mentalità ariana – Ario fu vescovo nel III secolo e padre di un’eresia – che pretende di porre queste Tre Persone in un sistema piramidale: prima vi è il Padre, dopo il Figlio e al terzo posto lo Spirito. Dando, così, dignità e pesi differenti a seconda dei gradini. Il Credo che professiamo – redatto proprio per combattere l’arianesimo – ci educa, però, a guardare il Figlio come il “generato, non creato, della stessa sostanza del Padre” e allo Spirito come Colui che è “Signore e dà la vita. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato”. I Tre, professiamo nel simbolo di fede, hanno la medesima dignità, il medesimo livello di primazia, la stessa sostanza divina pur rimanendo differenti. I Tre, in definitiva, formano l’Uno. Dio è Uno – ma non solitario – nell’esperienza di comunione/danza tra le Tre Persone.
Gesù, promettendo lo Spirito, dice che ci “guiderà a tutta la verità” (Gv 16,13a), poiché Egli “dirà tutto ciò che avrà udito, prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà” (Gv 16,13b.14b). Annunciando inoltre che “tutto quello che il Padre possiede è mio” (Gv 16,15a). Gesù manifesta così interamente l’essenza divina. Se, potremmo dire, cronologicamente vi è una successione tra Padre, Figlio e Spirito, noi per esperienza procediamo inversamente: nello Spirito possiamo accedere a Gesù e con Lui pregare il Padre. La preghiera cristiana è per natura trinitaria.
“Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio” (Rm 8,14). Partiamo nello Spirito poiché solo in Lui e con Lui possiamo gridare “Abbà! Padre!” (Rm 8,15b). Nello Spirito noi ci riscopriamo figli del Padre, fratelli di Gesù: “se figli, siamo anche eredi” (Rm 8,17a). Solo nello Spirito noi comprendiamo la piena e alta dignità alla quale siamo chiamati.
Lo Spirito permette di accedere anche noi a quella danza d’amore, luogo della nostra origine e luogo della nostra definitiva meta. Dio ci attende, per ballare con noi.
Alessandro