ATTENDERE L’ATTESO – figli come le pietre
Per arrivare dove siete, per andare via da dove non siete, per arrivare là,
Dovete fare una strada nella quale non c’è estasi.
Per arrivare a ciò che non sapete
Dovete fare una strada che è quella dell’ignoranza.
Per possedere ciò che non possedete
Dovete fare la strada della privazione.
Per arrivare a quello che non siete
Dovete andare per la strada nella quale non siete
E quello che non sapete è la sola cosa che sapete
E ciò che avete è ciò che non avete
E dove siete è là dove non siete (T. S. Eliot).
E’ cammino per il “regno dei cieli” (Mt 3,2), attesa che diviene già libero accesso.
Cosa è il regno dei cieli? Dove lo si trova?
Esso è “la città del nostro Dio” (Sal 48,2b), la “capitale del grande re” (Sal 48,2f). E’ il luogo da cui Egli viene; è venuto e verrà. E’ centro in cui “la sua giustizia durerà per sempre, la sua salvezza di generazione in generazione” (Is 51,8b).
L’annuncio del Battista è scorticante: “convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!” (Mt 3,2). A noi ci è ancora più vicino. Ci è vicino e non ce ne accorgiamo. Ci è vicino e non lo ricerchiamo. Ci è vicino e non lo contempliamo. Il Battista ha l’onere di predicare “nel deserto” (Mt 3,1b), di esserne la voce sbraitante. Il Battista ha “audacia” (Rm 15,15a) di rompere il silenzio assordante.
Egli è annunciatore di squarcio imminente nel silenzio appannante dell’umanità. Troppo presi dagli affari nostri per occuparci di un Altro. Troppo colmi di altre parole per ascoltarne un’altra.
Viene, il Battista, per annunciare la venuta di un Altro. Il regno dei cieli non è un cosa ma un Chi. Non è luogo ma esistenza, una Presenza. Il Battista, preparatore di accadimento, è affascinato lui stesso dall’attesa, tanto da lasciare la zavorra del superfluo e dedicarsi al “sacro ministero di annunciare il vangelo” (Rm 15,16a); “diventando nessuno, è diventato se stesso” (T. S. Eliot).
E’ reclamata conversione – metànoia -, cambiamento radicale; il regno adveniente la esige. Per prepararsi all’arrivo di un Altro ci è richiesto un capovolgimento nel sentire le cose; pensieri, parole, opere. Non è ingenuo moralismo.
“Fate dunque un frutto degno della conversione” (Mt 3,8) senza pie giustificazioni inutili. Non ci è chiesto di impratichirci in faccende ma di aprirci al Mistero che viene in mezzo a noi. Il riconoscerLo ci rende fertili. Il mio io, aperto all’aspettativa buona di un Altro che viene, si realizza; io divento davvero io. Conversione è saperci un nulla dinanzi al Suo tutto. Conversione è un lasciarci fare più che un fare. E’ passività attiva. E’ divenire chi dobbiamo essere.
Attesa è tempo di preparazione; Chi arriva mi deve trovare pronto. Il Battista forse nemmeno coglie tutta la portata di ciò che dice: “da queste pietre Dio può suscitare figli” (Mt 3,9b). Siamo pietre; fisse e inamovibili. Pietre destinate alla figliolanza. Pietre che formano il regno stesso.
Lo squarcio di Dio sull’esistenza che entra ha forza di spietrificare il cuore di uomo; l’Altro che viene ha addirittura forza di dare vita alla pietra, di trasformarla – convertirla. La Sua venuta è caratterizzata dall’acqua e dal fuoco, elementi che lavorano la durezza e la grettezza del sasso.
Acqua per lavare e smussare la pietra; la durezza è vinta dallo scorrere del fiume.
Fuoco per purificare e provare il materiale; l’anonimato grigiume del sasso è destinato alla trasparenza del cristallo. Pietre continuamente lavorate per un incastro perfetto.
Quando verrai Signore? Sgretola la durezza del cuore mio, smussa gli angoli più taglienti. Tu, convertitore di pietre, suscita dal mio nulla la vita. Frantuma il cuore mio pietrificato, rendilo carne. Prendimi, usami, affinché il regno Tuo progredisca. Vinci la mia resistenza. Perché nello squarcio si veda l’Oltre Tuo che sei; “nella mia fine è il mio principio” (T. S. Eliot). Trasforma me, pietra.
Vieni, Signore.
Alessandro