RICONOSCERE L’ATTESO – giudizio e giustificazione
Orribil furon li peccati miei;
ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
che prende ciò che si rivolge a lei.
(Dante Alighieri – Purgatorio,III)
Vi è un’ “intima presunzione di essere giusti” (Lc 18,9b) smascherata dalla liturgia di questa domenica. E’ ben celata, nascosta; ma presente.
Eppure, “se consideri le colpe, Signore, Signore, chi ti può resistere?” (Sal 130,3). La presunzione di sentirci giusti non ci rende tali. Colui che viene, incombente, ci smaschera; ci denuda. Se dovesse considerarci per le colpe, saremmo finiti.
Ecco la settima Epifania, definitiva manifestazione Sua. E’ il punto più alto, più chiaro; più sconsiderato. Epifania di Misericordia. Viene quale segno di “immenso amore” (Is 54,7b).
Davvero orribili le mie colpe, il mio peccato. Eppure c’è una Parola – la Sua; anzi Lui medesimo – immutabile: “anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto” (Is 54, 10a)! Tutto può mutare; non il Suo amore. Egli è Amore incondizionato; lontano dalla logica della retribuzione, del merito. Non è uno smercio di sentimenti ma dono incondizionato.
“Il Signore ti usa misericordia” (Is 54,10b); siamo oggetto del Suo-Amore. Non importa chi tu sia. Non importa ciò che fai. Nulla è di ostacolo tra te e Lui, “la misericordia” (Sal 130,7b).
Viene unicamente per questo. Il Suo compromettersi con noi è segno unico di Misericordia. Amore sconsiderato; illogico. Amore pieno e totale. Amore che abbraccia e mai scomunica.
L’ intima presunzione di sé ci porta a “disprezzare gli altri” (Lc 18,9b).
Gesù usa il metodo del racconto, presentando due figure: un fariseo e un pubblicano. Sono archetipi, modelli di esistenza. Il primo prega con presunzione: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri” (Lc 18,11b). Porta, a mo’ di prova, le sue pie pratiche. Digiuna e offre la decima. E’ il credere che una pratica, una formula, un precetto ci salvi. La sua è una preghiera di giustificazione; di alibi.
Il secondo, invece, non ha nulla di buono per cui vantarsi. Si batte il petto e prega: “O Dio, abbi pietà di me peccatore” (Lc 18,13b). Il suo è il riconoscersi per chi-davvero-è. Egli è “giustificato” (Lc 18,14a) nella preghiera. E’ salvato non per ciò che compie, ma per ciò che egli è.
Solo la scoperta del nostro limite ci attira giustificazione. L’ammantarci di pratiche ci offre solo sensazione. E’ l’approccio con il Divino che compromette l’esito.
Egli viene a dirci che non sono chiuse le porte per chi si riconosce fragile, per chi ha bisogno di misericordia. Riconoscersi peccatori; visione reale dell’io. Ad esser ripudiato è chi crede di stare davanti, nella prima fila; è chi crede – sua condanna! – di essere perfetto alla faccia dell’altro-da-me!
Si coglie, così, il monito a “non giudicare” (Rm 14,10a.13a) nella sua accezione più piena. Non è incentivo – come qualcuno vorrebbe – a non osservare il reale; divieto di critica e di denuncia evangelica. Al contrario, è il non prendere la scelta che spetta solo a Dio. E’ il non dare il giudizio ultimo al fratello. Il male è doveroso che venga giudicato tale ma non negandogli, a priori, la possibilità ultima. La Misericordia è sempre la possibilità ultima del Divino; di sé. Oltre a questo esiste solo l’Inferno – ciò che è sotto.
Il fariseo, nel suo errore, pensa di poter dare un giudizio ultimo su di sé e sul pubblicano. Quest’ultimo, invece, lascia a Dio il compito del giudizio. Il peccatore è luogo privilegiato d’intervento divino; attira la Misericordia. Chi crede di essere giusto scoprirà – quale terribile dramma – troppo tardi che quel Dio che orgogliosamente dice di servire, in realtà non Lo conosce e, anzi, se ne è solo servito.
Il Mistero del Suo Natale e del Suo manifestarsi si compie, dunque, nella Misericordia. E’ venuta – la Sua – di Misericordia.
“Che cosa è la misericordia? Non è altro se non un caricarsi il cuore di po’ di miseria [altrui]” (Agostino).
Alessandro