PIENAMENTE Sé – sera che sera non è
Sono soltanto un uomo – ho dunque bisogno di visibili segni,
mi stanco presto costruendo scale di astrazioni.
Pregavo talvolta (Tu lo sai) che in chiesa un’immagine dipinta
sollevasse per me la mano – una, un’unica volta.
Ma lo capisco, i segni possono essere solamente umani.
Desta allora un uomo, in un posto qualunque della terra,
(non me: almeno so cos’è il decoro)
e permetti che – guardandolo – io Ti possa ammirare.
(Czesław Miłosz – Veni creator)
Oh! Tommaso, tu non l’avresti mai immaginato; sei il più moderno dei suoi! Loro furono presenti, “la sera di quel giorno” (Gv 20,19a). Tu “non eri con loro” (Gv 20,24). Sei il primo assente storico al fatto.
Anche noi siamo assenti a quel giorno; con te assenti all’evento. “Venne Gesù” (Gv 20,19b) quella sera; sera che è giorno nuovo, di un giorno reso nuovo. Sera di Pasqua, del tutto compiuto.
Gli altri sono chiusi dentro a “quel luogo per timore” (Gv 20,19a); tu non c’eri. Gli altri hanno paura di un annuncio che vola per bocca di donna, di un sepolcro trovato vuoto. Tu, probabilmente, no.
Anche io, con te, non ero presente alla Sua ostensione di “mani e fianco” (Gv 20,20a). Il Risorto mantiene nella carne i segni, visibili, a provare il fatto della Sua Passione. In Lui “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9); un Corpo glorioso ora, vittorioso sulla morte. I buchi materiali di un corpo lacerato rimangono, a dire che non si tratta di un altro; sono prova eterna di un Amore senza fine.
Segni indelebili di ciò che è avvenuto; occorre partire sempre da quei segni. Sono segni di “vita e di perdono da tutte le colpe” (Col 2,13); buchi che attestano che “il documento scritto contro di noi lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce” (Col 2,14). Non verranno mai colmati e rimarranno memoriale di un Sacrificio a noi conveniente. A perenne memoria: “che voi avete crocifisso” (At 4,10). Per noi.
Nel Cenacolo il Risorto li mostra; dice che è Lui, e noi “partecipiamo della pienezza di lui” (Col 2,10a). Siamo resi partecipi al Suo consorzio divino. Invitati al Suo costato.
Tu, Tommaso, non vedesti, non credesti alla parola dei tuoi fratelli. Tu divieni partecipe della mia condizione di non uditore, di non presente. Vuoi vedere; voglio vedere. Divieni, tu, orante di un desiderio che abbiamo nel cuore.
Egli lo sa; a te si ripresenta “otto giorno dopo” (Gv 20,26a). Sfida la tua sfida; accorre alla tua mancanza. “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!” (Gv 20,27). Tu, però, non tocchi.
Non tocchi perché ora comprendi, capisci. Ora ci credi, divieni fratello nostro. Comprendi che adesso la relazione con Lui muta; non è più quella tumultuosa dei tre anni passati. Ora è pienamente Sé; una Presenza non più visibile ma non per questo meno vera, meno presente a me. Supera così il limite di tempo e spazio; diviene implicito ad un noi universale.
Eppure, Tommaso, sei il primo tra i credenti, non l’ultimo. Divieni antesignano di tutti coloro che “non hanno visto e hanno creduto!” (Gv 20,29b).
Nel Cenacolo tutto si compie, fino al dono dello “Spirito Santo” (Gv 20,22) che è compiutezza di Pasqua. La liturgia ci farà vivere l’attesa ultima: Pentecoste. Il tempo, dopo “la sera di quel giorno” (Gv 20,19a), diviene pentecostale; in quel tempo noi ci troviamo. I giorni dopo quella Pasqua, sono i giorni dello Spirito; piena definitività della Sua Presenza. Giorni che non tramontano; Giorno di giorni.
Il Cenacolo diviene centro affettivo dei suoi; avvio di missione e suo termine; sempre ritornano “dai loro fratelli” (At 4,23a). E’ casa loro, palestra di preghiera, di affetti, di cuori condivisi, di vite coinvolte in un Altro. Luogo della perenne novità di Pentecoste. Qui si dà nel Pane; qui si dà nello Spirito.
Da quella sera è concessa “franchezza” (At 4,13a) che lascia “stupiti” (At 4,13b); forza non di uomo che ci fa dire: “noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato” (At 4,20).
Alessandro