ETHOS – false speranze
Ma la speranza, dice Dio, ecco quello che mi stupisce.
Me stesso.
Questo è stupefacente.
Che quei poveri figli vedano come vanno le cose e che credano
che andrà meglio domattina.
(Charles Péguy)
La storia è la modalità scelta dalla Divinità per farsi conoscere. La storia ci permette di “ricordare” (Is 63,7a); continua operazione di ri-mettere nel cuore. Possibilità temporale di Infinito. Dio ha sperato nella storia.
“Certo essi sono figli che non deluderanno” (Is 63,8a). E’ speranza Divina. Paterna. Generazionale. Su Israele vi è un carico di fiducia che proviene dall’Alto. Nella storia – la loro storia – si mostra nel suo Essere: “grande in bontà” (Is 63,7d). Essere oggetti di misericordia costituisce la speranza bilaterale Dio-uomo.
Siamo la più grande speranza per il Divino, nostra unica speranza.
La storia, però, spesso delude. Il ricordo, può venire meno. “Si ribellarono” (Is 63,10a). La libertà, spenta dal ricordo, può muovere guerra.
Per questo il cuore, ad un certo punto, grida: “Ritorna!” (Sal 80,15a). Perché da soli non si campa. A Dio il cuore grida perché eternamente legato. La storia stessa, nel profondo, domanda. “Dov’è colui che?” (cfr. Is 63,11-13). Colui che si palesò a Mosè. Colui che entrò.
E’ supplica gonfia di un ricordo che non si spegne, di una speranza a mo’ di combustibile. Se Dio ha parlato a Mosè, ha fatto tutto questo – il ricordo – , allora significa che ancora è possibile la Sua presenza. Per questo domando: “dove sono il tuo zelo e la tua potenza, il fremito delle tue viscere e la tua misericordia?” (Is 63,15b). Dove sei?
A dire: dov’è la mia speranza? “Non forzarti all’insensibilità, perché tu sei nostro padre” (Is 63,15f.16a). Dare del Tu a Dio è la mia più alta speranza: riconoscerLo Padre. Non può venire meno a Sé.
Il metodo – storia – permette il superamento. “Prestate attenzione a Gesù” (Eb 3,1b) è il richiamo che ci proviene dalla storia stessa. Egli è “degno di fede” (Eb 3,2a), affidabile. E’ segno di fedeltà Altra. E’ risposta alla domanda che galleggia nel cuore.
E’ il Padre stesso a svelarsi in Lui, immischiandosi nella storia. Egli stesso dà “testimonianza” (Gv 5,37a) al Figlio. Rischio alto di libertà è starsene lontani. “Sua voce, suo volto” (Gv 5,37b) – cioè Sua totalità – sono in gioco per il Figlio. In Lui c’è il tutto del Padre.
Non credere “a colui che Egli ha mandato” (Gv 5,38b) costituisce una speranza falsata. Se non è Lui che risponde alla cogenza interna, chi è? Il cuore si apre ad un’attesa eterna senza accorgersi che l’Eterno è divenuto storia.
Perché Egli “non riceve gloria dagli uomini” (Gv 5,41) ma da Dio stesso. E’ il Padre medesimo, ora, molto più che nei “giorni antichi” (Is 63,11a), a superare la storia. Mosè fu solo ombra di ciò che ora accade. Egli fu solamente “servitore, per dare testimonianza di ciò che doveva essere annunciato più tardi” (Eb 3,5b).
Cristo fu, invece, Figlio. La “vocazione celeste” (Eb 3,1a) alla quale partecipiamo è la Sua figliolanza. Siamo noi Sua storia. Sua speranza.
La storia – Mosè – diviene allora metodo nel quale riporre “la nostra speranza” (Gv 5,45b) nella misura in cui, però, la (ac)cogliamo come unico approccio al reale. Se diventa nascondiglio, alibi alla nostra libertà, potrebbe crollarci addosso. La storia diverrebbe, allora, nostra accusa.
Siamo nella mani di un Dio che pone la Sua speranza nella nostra.
Alessandro