ETHOS – l’autorità, l’anima e la città
Chi cerca di sfuggire alla terra non trova Dio,
trova solo un altro mondo,
il suo mondo, più buono, più bello, più tranquillo,
un mondo ai margini,
ma non il Regno di Dio,
che comincia in questo mondo.
(Dietrich Bonhoeffer)
“Perché del Signore è il regno: è lui che domina sui popoli!” (Sal 22,29). I giusti – “suoi fedeli” (Sal 22,24a) – sanno riconoscere l’al-di-là del puramente visibile e riscontrabile.
Tutti i regni sono sottomessi ad un unico Regno – βασίλεια. Cristo ne è portavoce e richiamo. Egli è annunciatore di Regno; a tal punto da immedesimarsi Egli stesso. Lo scontro diventa politico e religioso.
Gli uomini faticano a credere ad un Altro che sopraggiunge come segno di auctoritas in mezzo alla confusione della potestas. Quest’ultima è legittimata solo dall’Autorità che nessun regno terreno può vantare. “Costui è il re dei Giudei” (Lc 23,38b) drammaticamente e profeticamente Gli scrivono sopra il fardello della croce.
Egli è il “servo” (Is 49,3a.5b.6a) “scelto” (Is 49,7h). Uno dei due appesi a Lui urla: “non sei tu il Cristo?” (Lc 23,39a). Fatica crederLo quale servo “sul quale manifesterò la mia gloria” (Is 49,3). Viene deriso; dal potere e dall’umanità, dal politico e dal religioso. Diviene “colui che è disprezzato, rifiutato dalle nazioni, schiavo dei potenti” (Is 49,7b).
Le due umanità condannate insieme con Lui sono portatrici dello stesso destino: “tu sei condannato alla stessa pena” (Lc 23,40b) è il riconoscimento fatto, pochi attimi prima di spirare. E’ la stessa pena di Dio. Un’umanità – primordio del sempre – del Caino e del Giuda che bistratta il dono, lo sciupa; irrigidita dal proprio ego e dalla sete di potere. Vi è poi l’altra, quella dell’Abele e del Giovanni, che riconosce l’infinitamente grande, che sa che “egli non ha fatto nulla di male” (Lc 23,41b). E non si è trattenuto.
L’Autorità ha un’anima diversa da quella del potere. Il Divino la mostra nella Sua decisione a svuotarsi – kenosis. “Egli, pur essendo nella condizione – morphé (forma) – di Dio, svuotò se stesso assumendo una condizione – morphé (forma) – di servo” (Fil 2,6a.7a). Decide deliberatamente di condividere il dramma fino in fondo, “fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2,8b). La Sua è una trans-formazione.
“Per questo Dio lo (sovra)esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome” (Fil 2,9). Tale nome è Κύριος – “è Signore!” (Fil 2,11b). E’ investitura al Regno. Modalità nuova del Suo essere. E’ titolo pasquale adoperato dai suoi per proclamare la definitiva vittoria.
L’evento del Golgotha diviene centro cosmologico del Mistero; perenne memoriale della sovranità del Regno su tutte le cose per il Quale “ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra” (Fil 2,10b). L’universo stesso vive piegato davanti a ciò, davanti all’immutabile. C’è una dipendenza all’Autorità.
Deve cambiare il nostro modo – ethos – di sentire e di intendere le cose; alla Sua maniera.
La Parola della Croce tutto inonda, tutto circonda, tutto comporta.
Pentecoste dello Spirito è Pentecoste della Croce; Regno dello Spirito è Regno della Croce.
“Ecco l’opera del Signore!” (Sal 22,32c).
Alessandro