DEFINITIVITA’ – martyria
Io vivo rischiando per Te.
Non mi resta che seguirti nella tua libertà,
perdutamente.
(Christophe Lebreton)
Metro di misura è quella risurrezione. Il Risorto ha valenza storica.
Se la Sua nascita interrompe e spezza la cronologia in un prima e dopo, la Sua risurrezione irromperà tra il mai e il per-sempre.
Prima misura, conseguenza al crederLo, è la testimonianza – martyria.
Pasqua diviene (ri)scoperta della vita cristiana come martirio. La definitività del Risorto è pura: “alcuni erano persuasi, altri invece non credevano” (At 28,24). Non ammette spazi intermedi. La radicalità – lungi dal radicalismo schizofrenico – è pienezza di significato alla vita.
Tale radicalità inevitabilmente compromette l’esistenza. Paolo subirà la prigionia forzata, l’arresto domiciliare “a causa della speranza d’Israele” (At 28,20b). Accetterà perfino la catena.
La speranza che annuncia è anzitutto la sua esistenza. La testimonianza ha valore nella misura in cui il messaggio diventa carne nel testimone. Si può dare solo ciò che si è.
Paolo è vinto lui stesso, lui per primo, dall’annuncio che porta. Dalla Parola che annuncia. Fino a divenire egli medesimo parola scritta. Il martire è la Parola di Dio che continua a incarnarsi, a patire e a risorgere nella storia.
“Per suscitare l’obbedienza della fede” (Rm 1,5a) non con la forza ma con la vita.
La risurrezione è testimonianza del Padre; tanto da divenire storia scritta – Scrittura.
“Che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti” (Rm 1,3-4).
La Sua identità è testimonianza del Divino: “so da dove sono venuto e dove vado” (Gv 8,14b).
Martire è chi si riconosce nelle parole del Risorto: “non solo solo” (Gv 8,16a). La solitudine del testimone non è mai solitudine da Lui. Anzi, la veracità dell’annuncio è data da questa non-solitudine.
Martire è chi non prova “vergogna del Vangelo” (Rm 1,16a) sapendo che sono inammissibili sconti o compromessi. Non si vergogna perché per primo ammette la definitività di questo annuncio. Ammette che è “potenza di Dio” (Rm 1,16b) che già è deflagrata.
Martire è chi “dal mattino alla sera” (At 28,23b) non ha altro interesse, altro cruccio, altra preoccupazione che questa. E’ la vita di sé fino in fondo, il divenire dono-per che rinvigorisce il testimone. Il dispendio di energie trova proteina nel darsi fino in fondo.
Vera misura del martirio non è annullamento di altri con l’eliminazione di sé ma dono di sé per il bene di altri.
In un tempo in cui abbiamo notizie lontane – non solo geograficamente – di martiri che oggi perdono la vita, solo una Chiesa che (ri)scopre l’universale chiamata alla testimonianza potrà essere di nuovo credibile.
Alessandro