14 marzo 2021
IV DOMENICA DI QUARESIMA (B)
Giovanni 9,1-38
Riflessione a cura di don Erminio Villa.
L’affermazione centrale del brano è la rivelazione di Gesù: Io sono la luce del mondo. Gesù viene a portare la luce, a illuminare. Il termine sta anche per fede e salvezza. Salvezza sta per trasformazione del cuore e della vita intera, nel senso della volontà amorosa di Dio, perché dove manca l’amore non c’è vita. “Vedere” è simbolo della fede: lo si capisce dalla conclusione del racconto: «Credo, Signore!».
1. Lo sguardo di Gesù
Gesù vide un uomo cieco dalla nascita… Gesù vede. Vede lo scarto della città, l’ultimo della fila, un mendicante cieco. L’invisibile. E se gli altri tirano dritto, Gesù no, si ferma. Senza essere chiamato o pregato. Gesù non passa oltre, per lui ogni incontro è una meta. Vale anche per noi, ci incontra così come siamo: «Nel Vangelo il primo sguardo di Gesù non si posa mai sul peccato, ma sempre sulla sofferenza della persona» (Johannes Baptist Metz).
I discepoli che da anni camminano con lui, i farisei che hanno già raccolto le pietre per lapidarlo, tutti per prima cosa cercano le colpe (chi ha peccato, lui o i suoi genitori?), cercano peccati per giustificare quella cecità. Gesù non giudica, si avvicina. E senza che il cieco gli chieda niente, fa del fango con la saliva e lo spalma su quelle palpebre che coprono il nulla.
2. Figlio della luce
Gesù è Dio che si contamina con l’uomo, ed è anche l’uomo che si contagia di cielo. Ogni uomo, ogni donna, ogni bambino che viene al mondo, che viene alla luce, è una mescolanza di terra e di cielo, una lucerna di argilla che custodisce un soffio di luce. Vai a lavarti alla piscina di Siloe… Il mendicante cieco si affida al suo bastone e alla parola di uno sconosciuto. Si affida quando il miracolo non c’è ancora; c’è solo buio intorno. Andò alla piscina e tornò che ci vedeva. Non si appoggia più al suo bastone; non siederà più a terra a invocare pietà, ma ritto in piedi cammina con la faccia nel sole, finalmente libero. Finalmente uomo, ridato alla luce, ripartorito a una esistenza di coraggio e meraviglia.
3. La gloria di Dio
Per la seconda volta Gesù guarisce di sabato. E invece del canto di gioia entra nel Vangelo la tristezza. Ai farisei non interessa la persona, ma il caso da manuale; non interessa la vita ritornata a splendere in quegli occhi, ma la “sana” dottrina. E avviano un processo per eresia: l’uomo passa da miracolato a imputato.
Ma Gesù continua il suo annuncio del volto d’amore del Padre: a Dio per prima cosa interessa un uomo liberato, veggente, incamminato; un rapporto che generi gioia e speranza, che porti libertà e che faccia fiorire l’umano! Gesù sovverte la vecchia religione divisa e ferita, ricuce lo strappo, unisce il Dio della vita e il Dio della dottrina, e lo fa mettendo al centro l’uomo. La gloria di Dio è un uomo con la luce negli occhi e nel cuore. Gli uomini della vecchia religione dicono: Gloria di Dio è il precetto osservato e il peccato espiato! E invece no, gloria di Dio è un mendicante che si alza, un uomo con occhi che si riempiono di luce. E ogni cosa ne è illuminata.
La presenza illuminante di Gesù comporta un giudizio e una divisione tra gli uomini: alcuni credono e cominciano a vedere l’esistenza in un modo nuovo, alla maniera di Dio. Mentre altri, che si credono sicuri di sé, rifiutano di credere e continuano a organizzare la propria vita secondo le vecchie logiche del potere personale, dell’esclusiva difesa dei propri interessi, in definitiva secondo l’incredulità. Noi credenti restiamo umili, perché sappiamo che può scendere anche a noi la cataratta e non vedere se non in modo confuso i molti problemi della vita e le loro soluzioni. Per questo è sempre necessario tornare a Cristo per esserne illuminati e vedere le persone, le relazioni, i fatti, come li vede il Dio d’amore.
-- don Erminio