11 aprile 2021
II DOMENICA DI PASQUA (B)
Giovanni 20,19-31
Riflessione a cura di don Erminio Villa
1. Tommaso, una figura controversa
Da molti è considerato l’incredulo, la pecora nera degli apostoli. Eppure forse Tommaso è tutt’altro: è un prototipo, un paradigma, perché in ognuno di noi, in qualche angolo del nostro cuore, c’è un Tommaso, c’è la stessa incredulità! Sono tante le sfumature del dubbio: quante volte persino davanti alla S. Scrittura ci siamo detti: “Ma è possibile? Che questo l’abbia fatto Dio? Che abbia deciso questi massacri, che permetta queste cose?”. E quante volte, di fronte a fallimenti, delusioni, lutti della vita, abbiamo dubitato e ci siamo chiesti: “Ma cosa fa Dio?; dov’è?”. Tommaso allora ci insegna una cosa molto profonda: dobbiamo riconquistare ogni giorno la nostra fede, perché alla fine anche noi possiamo dire, come Paolo: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (2Tim 4,7): impresa non facile!
2. Le apparizioni ‘domenicali’ del Risorto
Gesù appare l’ottavo giorno, il giorno dopo il sabato, la domenica. A chi si aspettava un rimprovero, Gesù rivolge solo parole belle: «Pace a voi!». Appare dove si spezza il pane. Prima la messa si chiamava “fractio panis”, “lo spezzare del pane”. Gesù viene l’ottavo giorno, quando spezziamo il pane tra noi; è allora che Gesù si rende presente; se non condividiamo il pane con i fratelli, non lo possiamo incontrare.
Gesù entra “a porte chiuse”. Quante volte sono chiuse le porte del nostro cuore, forse persino quando siamo a messa. Chiudiamo le porte per tanti motivi: perché la vita è dura, perché spesso ci fa male e allora non c’è nulla di più facile che chiudere la porta. E quando la porta è chiusa è molto difficile entrare. Ma se Gesù entra anche a porte chiuse, vuol dire che solo lui può passare attraverso la nostra paura; il suo amore vince le nostre barriere…
3. Ma allora, Tommaso è solo un incredulo?
I vangeli non ci dicono mai esplicitamente che Gesù è Dio; ci dicono che è il Messia (ma il Messia poteva anche essere un uomo comune), che è figlio di Dio (ma figlio di Dio è anche Israele). Siccome Tommaso era assente la prima volta che venne Gesù, non gli restava che una possibilità: credere a quello che avevano detto gli altri, fidarsi del loro racconto. Ma lui, per credere, vuole ‘vedere il segno dei chiodi della crocifissione’. Voleva arrivarci da solo!
Otto giorni dopo venne Gesù, per esaudire espressamente le sue domande, perché voleva bene a lui (e a quanti, come lui, avevano bisogno di un aiuto in più per credere). Tommaso è l’unico che, scoppiando di gioia, arriva a formulare una esplicita professione di fede che è entrata anche nel linguaggio della nostra liturgia ambrosiana: “Mio Signore e mio Dio”.
In questo apostolo vediamo i tratti del cammino cristiano: dal dubbio alla fede. Lui ci aiuta a riconoscere in quell’uomo il nostro Dio. La Pasqua non è aspettare la Pasqua, ma accorgersi che oggi è Pasqua, e quello che stiamo cercando è già qui. L’Amore di Dio non è lontano da noi, è esattamente lì dove ci troviamo, fosse anche la più terribile e buia cantina esistenziale in cui siamo andati a finire. Serve però crederci per vederlo, e non aspettare di vederlo per crederci.
Caravaggio dipinge Tommaso con la mano nella ferita di Gesù. Ma noi non sappiamo se l’ha messa davvero. Eppure noi possiamo mettere la mano in altre ferite. Non possiamo vedere il volto santo di Dio, ma possiamo vedere il volto dei nostri fratelli, possiamo accorgerci delle loro ferite. Tommaso “ri-conosce” Dio in quel crocifisso risorto, in quel ferito, in quel sofferente. Il vangelo lo spiega molto bene; il giudizio universale consiste in questo: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visi-tato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. (Mt 25,35-36). È il criterio ultimo. I Padri della Chiesa dicevano che chi riesce a vedere nel crocifisso il più bello tra i figli dell’uomo, è diventato spirituale.
-- don Erminio