3 ottobre 2021
V DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI GIOV. BATTISTA (B)
Luca 10,25-37
Riflessione a cura di don Erminio Villa.
Gesù racconta questa parabola per rispondere alla domanda postagli dal dottore della legge: Cosa fare per ereditare la vita eterna? Sembra che il segreto stia nell’amare! Amare Dio e il prossimo… di amore infatti si muore, ma di essere amato si vive.
L’uomo spesso parte dall’amore del prossimo per arrivare a quello di Dio: solo da un amore dato e ricevuto da un prossimo possiamo arrivare a sperimentare e riconoscere quello di Dio per noi; per questo ogni essere umano si presenta come un assetato di amore.
Questa parabola c’invita a celebrare l’incontro con il volto sofferente: con tre passaggi…
1. Contemplare il volto
Che cosa suscita in noi l’incontro con un volto sofferente? Attualmente, come atteggiamento di massa, ci muoviamo tra rimozione e spettacolarizzazione, tra rimozione della morte e epopea del macabro. O la morte in diretta o la sofferenza degli altri vista attraverso la mediazione dei mass media.
Sappiamo sostenere la visione di un concreto volto sofferente? È ancora possibile la compassione? Oppure è ormai soffocata dall’indifferenza, la rimozione, l’abitudine, la paura?
Vedere è considerare il volto completo dell’uomo sofferente: – un evento inatteso rende questo uomo sventurato, a un passo dalla morte; – davanti al sacerdote e al levita questo uomo diviene l’uomo di cui non ci si prende cura, che patisce l’indifferenza omicida. Sperimenta di essere un nulla, uno da evitare; – davanti al samaritano diventa l’uomo aiutato, che fa esperienza di qualcuno che si prende cura di lui gratuitamente, colui che sperimenta la compassione dell’altro.
2. Ascoltare il volto sofferente
È una cosa difficile; è più facile fornire farmaci per la depressione che ascoltare il silenzio del depresso. La maggior parte degli orecchi si chiudono alle parole che cercano di dire una sofferenza. Costruiamo barriere per evitare che la sofferenza passi da chi la vive a chi l’ascolta.
Ma senza l’ascolto del sofferente, noi lo rileghiamo all’isolamento…e precludiamo a noi stessi la possibilità di comunicare la nostra sofferenza.
3. Con-soffrire con il sofferente (com-passione)
Non basta vedere il sofferente, occorre fargli spazio in noi, provare compassione, solidarizzare con lui… La compassione è sottrarre il dolore alla sua solitudine. Ma per arrivare a vivere ciò dobbiamo riconoscere le opposizioni con le quali lottiamo dentro di noi, imparare a vedere la nostra paura; spesso è lei che ci impedisce di scorgere la paura del sofferente.
Chi ama il prossimo è forse il ferito che, nella sua assoluta impotenza, concede all’altro l’occasione di divenire pienamente se stesso, di farsi umano, compassionevole come Dio…
Nel Crocifisso, l’uomo Gesù immerso nel dolore, contempliamo il vero uomo fatto a immagine di Dio, capace di dare la vita per l’umanità… In questo dono è racchiusa l’espressione più alta della dignità umana… soffrire per ridurre la sofferenza dell’altro è la mia più grande dignità.
Gesù per primo ci lascia un grande insegnamento: non può esserci compassione senza passare dal sapere al fare, dalla conoscenza delle scritture alla conoscenza della sofferenza umana. L’amore non può ridursi soltanto a qualcosa da fare, all’efficacità, a una buona organizzazione di strutture caritative. In questo modo ci offrirebbe un’ottima occasione di protagonismo.
La comunità che fa carità non è un soggetto di Carità, ma partecipazione della carità che è di Dio Padre. È importante riuscire a scorgere in quel malcapitato me stesso: è il cammino di Adamo che va lontano e si nasconde da Dio. L’uomo è fuggiasco, il Figlio dell’uomo è pellegrino.
Egli percorre la stessa strada di noi malcapitati, ma in senso contrario.
-- don Erminio