16 gennaio 2022
II DOPO L’EPIFANIA (C)
Giovanni 2,1-11
Riflessione a cura di don Erminio Villa.
1. Manca il vino
“Venuto a mancare il vino”. Quante volte facciamo questa esperienza, nelle nostre vite. Partiamo, entusiasti, convinti, determinati poi, cammin facendo, viene a mancare il vino.
Una sofferenza, un fallimento, un’esperienza negativa. Vediamo che manca qualcosa di importante. Il vino, simbolo della gioia, della festa, della gratuità. Ve la immaginate una festa di nozze senza vino? Manca il vino, manca la voglia di vivere, di andare avanti, di fare festa.
Allora tutto diventa grigio, faticoso, rancoroso. E cresce la rabbia, l’aggressività, la depressione. Abbiamo concluso il tempo di Natale e fatto memoria del nostro Battesimo. E, subito, con duro realismo, la Liturgia ci consegna il vangelo di Giovanni, il miracolo numero uno come scrive l’evangelista, quello che sta alla base di ogni altra esperienza di fede.
2. Maria si accorge e interviene
Maria, figlia di Israele, in questo strano matrimonio in cui mancano gli sposi e protagonisti sono i camerieri e lo sconosciuto Gesù, si rivolge a noi. Sono le uniche parole rivolte ai discepoli. Ha parlato con gli angeli. E con Elisabetta. E con suo figlio, custode del mistero. Ora parla a me. “Fate quello che vi dirà”. Manca il vino. Già.
Nella vita di ciascuno di noi. Nella vita di coloro che abbiamo accanto. Spesso, purtroppo, anche nelle nostre comunità che vivono in un perenne lutto.
E Maria se ne accorge. Lei è la prima che vede che manca qualcosa alla nostra vita. E ne informa il Figlio. E a noi intima: fate. Non: aspettate. Non: pregate. Non: pazientate. Non: rassegnatevi. Fate. La gioia di costruisce, mica si attende. Si plasma.
Dobbiamo riempire le giare fino all’orlo. Con l’acqua, non abbiamo altro. Dal poco al tutto. Dall’insignificante al miracolo. Giare di pietra che certamente non erano presenti in quella festa. Ma all’ingresso del tempio di Gerusalemme, contenenti acqua per la purificazione. In pietra e sei, una in meno del numero della perfezione che è sette. Simbolo di una fede stanca, impietrita, trascinata. Come spesso è la nostra. Eppure proprio questa fede va riempita.
Non snobbata. Non abbandonata. Ma vissuta con tutto ciò che siamo. Obbediscono, i camerieri. Obbediamo, noi servi inutili. Quante altre cose dovevano fare in quel servizio matrimoniale! Con quanto poco entusiasmo avranno preso le piccole anfore per attingere acqua e colmare di oltre seicento litri quelle giare! E quanti improperi avranno mandato a quel giovane taciturno e bislacco. Quante volte vorrei mollare, anch’io. Ma tengo duro. E riempio le giare, anche se sono di pietra.
Quell’acqua attinta e servita al sommelier diventa un vino straordinario. Tale da entusiasmare il maestro di tavola che si complimenta con lo sposo. E da servo divento sommelier.
3. Una storia d’amore
Anch’io faccio i complimenti a Cristo, lo sposo, per tutta l’acqua che ho visto trasformarsi in vino. Litri. Ettolitri. Intere botti di ottimo vino. Perché questo matrimonio, questa festa, questo segno numero uno, è la storia d’amore fra lo sposo, Dio, e la sposa, Israele. E dei servi, noi, che partecipano a questa festa. E della madre del Signore, prima fra i discepoli, prima fra i credenti, che discretamente si accorge dell’assenza della gioia.
E provvede, spingendo ad agire il Signore. E noi. Inizia così il nostro anno civile. Annotando, con amarezza, quanto sia faticosa la nostra vita quando manca il vino della gioia. E guardando avanti. Offrendo un percorso. No, non stiamo precipitando nel caos. E nemmeno nella disperazione più cupa. Alcuni aspettano la fine della festa, incuranti di quanto accade. Altri si lamentano con l’imperizia dello sposo.
A noi è chiesto di riempire le giare fino all’orlo. Anche se solo di acqua. L’incontro con Dio è una festa di nozze. Una grandiosa festa di nozze. Il segno numero uno, diventa per noi il segno numero due. E tre. E quattro. Eccomi, Signore. Pronto a riempire le giare.
-- don Erminio