23 aprile 2023
III DOMENICA DI PASQUA (A)
Giovanni 1,29-34
Riflessione a cura di don Erminio Villa.
1. L’immagine dell’agnello
La preparazione di Giovanni il Battista, probabilmente sviluppata a Qumran, nel gruppo degli esseni, ha maturato una spiritualità che lo ha portato a collegare insieme vari richiami:
il sangue dell’agnello, sugli stipiti delle porte, quando il popolo d’Israele fu liberato da Mosé, salvò dall’eccidio dell’angelo sterminatore i primogeniti,
l’agnello che veniva ucciso nel tempio, ogni giorno, mattino e sera, allontanava le forze del male, esprimendo la propria espiazione di popolo peccatore e fedele,
l’agnello “condotto al macello prende su di sé i peccati del mondo” come ricorda Isaia (53,7-12).
Ma Giovanni Evangelista, probabilmente, carica questa immagine, alla luce di Gesù sulla croce, anche con il sacrificio di Abramo che stava per compiere sul figlio Isacco, deciso di voler offrire a Dio, come testimonianza totale, la propria fedeltà. E all’ultimo momento viene salvato perché nei dintorni un agnello prende il posto di Isacco.
E Giovanni ci ricorda che Gesù muore sulla croce nello stesso pomeriggio, la vigilia di Pasqua,
2. Gesù viene a togliere ‘il peccato’
Un agnello non fa paura perché non ha potere, è inerme: rappresenta il Dio mite e umile (se ti incute paura, stai sicuro che non è il Dio vero).
Eppure toglie il peccato del mondo. Il peccato, al singolare, non i mille gesti sbagliati con cui continuamente laceriamo il tessuto del mondo, ne sfilacciamo la bellezza.
Ma il peccato profondo, la radice malata che inquina tutto. Non i singoli atti sbagliati che continueranno a ferirci, ma una condizione, una struttura profonda della cultura umana, fatta di violenza e di accecamento, una logica distruttiva, di morte. In una parola: il disamore, che è indifferenza, violenza, menzogna, chiusure, fratture, vite spente…
Gesù viene come il guaritore del disamore. E lo fa non con minacce e castighi, non da una posizione di forza con ingiunzioni e comandi, ma con quella che Papa Francesco chiama «la rivoluzione della tenerezza». Una sfida a viso aperto alla violenza e alla sua logica.
Agnello che toglie il peccato: con il verbo al tempo presente; non al futuro, come una speranza; non al passato, come un evento finito e concluso, ma adesso: ecco colui che continuamente, instancabilmente, ineluttabilmente toglie via, se solo lo accogli in te, tutte le ombre che invecchiano il cuore e fanno soffrire te e gli altri.
La salvezza è dilatazione della vita; il peccato è, all’opposto, atrofia del vivere, rimpicciolimento dell’esistenza. E non c’è più posto per nessuno nel cuore, né per i fratelli né per Dio, non per i poveri, non per i sogni di cieli nuovi e terra nuova.
Come guarigione, Gesù racconterà la parabola del Buon Samaritano, concludendola con parole di luce: “fai questo e avrai la vita”.
3. Anche noi impegnati come lui
Vuoi vivere davvero, una vita più vera e bella? Produci amore. Immettilo nel mondo, fallo scorrere… E diventerai anche tu guaritore della vita. Lo diventerai seguendo l’agnello (Ap 14,4).
Se questo seguire lo intendiamo in un’ottica sacrificale, il cristianesimo diventa immolazione, diminuzione, sofferenza.
Ma se capiamo che la vera imitazione di Gesù è amare quelli che lui amava, desiderare ciò che lui desiderava, rifiutare ciò che lui rifiutava, e toccare quelli che lui toccava, e come lui li toccava, con la sua delicatezza, concretezza, amorevolezza e non avere paura, e non fare paura, e liberare dalla paura, allora sì lo seguiamo davvero, impegnati con lui a togliere via il peccato del mondo, a togliere respiro e terreno al male, ad opporci alla logica sbagliata del mondo, a guarirlo dal disamore che intristisce, ad essere solari e fiduciosi nella vita, negli uomini e in Dio.
Perché la strada dell’agnello è la strada della felicità.
-- don Erminio