14 luglio 2024
VIII DOMENICA DOPO PENTECOSTE (B)
Marco 10,35-45
1. Testimoni credibili di fede
La prima lettura, che tratta dal sesto libro della Bibbia, il libro di Giosuè, fa pensare a come oggi si sia spezzata la cinghia di trasmissione della fede (e non solo) in tante famiglie. L’immettere i figli in narrazioni esistenziali che li aiutino a cogliere senso del vivere è abbastanza desueto e raro a trovarsi. I nostri giovani vengono depredati del loro futuro in molti ambiti. Chiediamo al Signore che ci doni persone carismatiche che con il loro stile, rettitudine, rispetto della legalità, amore alla giustizia, passione per il nostro ecosistema umano e naturale, e, non ultima la fede, mostrino la bellezza del vivere e la capacità di resilienza nelle difficoltà.
2. L’esemplarità del servizio
Il brano evangelico fa parte di un trittico del Vangelo secondo Marco. Si tratta di tre annunci della passione che Gesù fa ai discepoli, con insegnamenti che mettono in guardia dalle tentazioni che subì nel deserto. Qui egli mette in guardia i due fratelli Giacomo e Giovanni, di carattere impulsivo, dalla tentazione del potere: sedersi alla sua destra e alla sua sinistra nel Regno. Ben altri sarebbero stati in quella disposizione spaziale nel giorno del massimo trionfo di Cristo: la croce. Ai due Gesù ricorda che chi ha autorità è chiamato a servire, come lui si è fatto servo di tutti noi.
È una lezione che non possiamo semplicemente girare ai politici, ma vale per ognuno di noi. Ripartiamo da lì nell’educare i nostri cuccioli d’uomo, sin da piccoli: porsi a servizio.
3. Il potere dell’amore
La richiesta dei due figli di Zebedeo era ovvio che scatenasse l’invidia e la gelosia degli altri discepoli. È istintiva nei discepoli come del resto in ogni persona, la tendenza a fare da maestri a se stessi, a divenire “adulti”, ossia indipendenti e autosufficienti, fino a fare a meno di tutti, persino di Gesù.
È lo stile di questo mondo, che tutti conosciamo molto bene poiché lo pratichiamo con frequenza. Per il Vangelo è vero l’esatto contrario: il discepolo resta sempre alla scuola del maestro.
Anche se dovesse occupare posti di responsabilità, sia nella Chiesa che nella vita civile, resta sempre figlio del Signore, ossia discepolo che sta ai piedi di Gesù. Ecco perché Gesù raduna nuovamente i Dodici attorno a sé e li ammaestra: l’istinto del potere – sembra dire Gesù – è ben radicato nel cuore degli uomini, anche in quello di chi spergiura di non esserne sfiorato.
Nessuno, neppure all’interno della comunità cristiana, è immune da tale tentazione. È normale fare considerazioni severe su coloro che hanno il potere politico, economico, culturale; e talora è anche necessario farlo. Forse però è più facile fare l’esame di coscienza agli altri che a se stessi, in genere uomini e donne dal “piccolo potere”.
Non dovremmo tutti chiederci quanto spesso usiamo in modo egoistico e arrogante quella piccola fetta di potere che ci siamo ritagliati in famiglia, o a scuola o in ufficio, o dietro uno sportello, o per la strada o nelle istituzioni ecclesiali, o comunque altrove? La scarsa riflessione in questo campo è spesso fonte di amarezze, di lotte, di invidie, di opposizioni…
Ai suoi discepoli Gesù continua a dire: “Tra voi non è così” (meglio dire: “Non sia così”). Non si tratta di una crociata contro il potere, per favorire un facile umilismo che può anche essere solo indifferenza. Gesù ha avuto potere (“insegnava come uno che ha autorità”, Matteo 7, 29) e lo ha concesso anche ai discepoli (“Diede loro potere sugli spiriti immondi” – Marco 6, 7).
Il problema è di quale potere si parla, e comunque di come lo si esercita: è il potere dell’amore.
-- don Erminio