AFFEZIONE – come Bellezza
Cara beltà che amore
Lunge m’inspiri o nascondendo il viso,
Fuor se nel sonno il core
Ombra diva mi scuoti,
O ne’ campi ove splenda
Più vago il giorno e di natura il riso;
Forse tu l’innocente
Secol beasti che dall’oro ha nome,
Or leve intra la gente
Anima voli? o te la sorte avara
Ch’a noi t’asconde, agli avvenir prepara?
(Giacomo Leopardi)
Il poeta – e chi con lui ha sensibilità – avverte il bisogno del bello. Ora più che mai.
Se – come afferma il Dostoevskij – “la bellezza salverà il mondo” occorre domandarsi quale bellezza possa assumersi tale pretesa.
La terza epifania è manifestazione di questa pulchritudo – bellezza. E’ elevazione della delicatezza e del fascino femminile; eccellenza di bellezza. E’ poema in rosa che deve provocare il nostro ecclesiale e sociale.
Due donne, lontane tra loro – Ester e Maria -, divengono protagoniste di una salvezza certa e di una bellezza suprema, scevre da personalismi.
Ester, divenuta regina e moglie di un re pagano, porta su di sé il peso della responsabilità del popolo, destinato allo sterminio per decreto del viceré Aman. E’ una che salverà, con la “sua bellezza” (Est 5,1b), un popolo.
Maria, invitata in giorno di sabato insieme a Gesù a “una festa di nozze a Cana” (Gv 2,1a), si accorge di una mancanza e diviene responsabile di una gioia che sta per interrompersi bruscamente.
Ester l’ebrea troverà il coraggio di andare dal re dopo che “ebbe finito di pregare” (Est 5,1). Il suo attaccamento, la sua affezione alla fede dei padri, alla sua storia, al suo Dio la rende “splendida, rosea nel fiore della sua bellezza” (Est 5,1a.1b). Essenza interiore, come virtus.
Maria l’ebrea è preghiera, portatrice di Colui che viene a salvare. La sua affezione è materna e filiale. E’ già tutta bella, “tutta splendore” (Sal 45,14a). Troverà il coraggio di dirGli: “non hanno vino” (Gv 2,3b).
La donna Ester riesce nel suo intento: un “banchetto” (Est 5,5b) durante il quale rivelare l’intento iniquo di Aman. Avrà così giustizia e salvezza.
La donna Maria riesce a garantire continuità al banchetto nuziale. Strappa, a forza di tenerezza, il primo miracolo al Figlio. “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (Gv 2,5) chiosa ai camerieri del buffet. Le condizioni non sono dettate da lei.
Le due condividono una bellezza che non appartiene alla terra. Fanno esperienza “dello splendore della sua grazia” (Ef 1,6a). E’ un fascino irresistibile perché proviene dall’Alto come “benedizione spirituale” (Ef 1,3b). Troppi stereotipi al bello ci hanno portato ad un’assuefazione per il semplice e puro.
Solo chi è presente all’evento – Sua manifestazione – diviene grazioso. Assenza a Lui procura bruttura e goffaggine.
Questa sola è la Bellezza in grado di salvarci.
Alessandro