Queste parole e questo segno del Maestro mi ricordano una delle prime parole pronunciate da Papa Francesco che diceva che la Chiesa non è una ONG.
Preghiera.
I fatti raccontati da Matteo vanno prima contestualizzati. Gesù ha appena saputo della morte di Giovanni ucciso per soddisfare il desiderio di una donna corrotta e gelosa e questo gli ha provocato un immenso dolore destabilizzandolo. Gesù cerca allora rifugio nella relazione con Suo Padre e si isola nella preghiera e nell’ascolto o per dirla come una psicologo si rifugia in Suo Padre, colui il quale lo ha inviato agli uomini con una missione precisa e definita; portarli alla salvezza. Sarà scoraggiato e deluso il Maestro oltre che sofferente per una morte inutile e possiamo solo immaginare cosa sia detti Padre e Figlio. Quello però da sottolineare è la ricerca assidua e costante da parte di Gesù del conforto e consiglio del Padre. Conforto e consiglio che nascono proprio dalla preghiera assidua, intima, confidenziale, silenziosa che intercorre fra i due. Preghiera di cui non solo ha bisogno, Gesù, ma che ne diventa ispirazione e forza per continuare la sua missione, per continuare ad amare l’uomo nonostante tutto.
Folle.
Insensibili a quello che prova il Maestro, le folle continuano a cercarlo, continuano a proporre i propri bisogni i propri sogni. Sorde alla sofferenza lo sovrastano con le loro miserie. Miserie che non vanno sottovalutate ma che diventano molto spesso ingombranti ed invadenti. Miserie a cui il Maestro reagisce con grande compassione.
Il termine compassione per noi, oggi, è un termine che ci pone nella situazione di superiorità rispetto al sofferente che ci carica di tanti buoni sentimenti che ci portano o ci dovrebbero portare a cercare un qualche modo per alleggerire le sofferenze e le difficoltà di chi ha uno stato di bisogno. Non fraintendetemi questa è una cosa buona e giusta che sveglia in noi il sentimento di solidarietà che scalda il cuore di chi lo riceve e di chi la pratica. La solidarietà è sicuramente un azione giusta e santa che nobilita l’uomo e che viene utilizzata proprio da varie ONG, tutte lodevoli, in molte parti del mondo in contesti anche estremi e pericolosi ma che non è la compassione di Gesù la quale porta non alla solidarietà ma alla carità.
Carità.
Gesù partendo proprio della Sua relazione profonda con il Padre non pratica la solidarietà ma esercita la carità che origina dal fatto che il Maestro com-patisce i bisogni dell’uomo. Com-patire significa infatti com-prendere, con-dividere la natura umana fino ad esserne parte fino a penetrarla nella profondità più estrema. Ecco allora che i gesti seguenti, il sanare i malati, liberare gli indemoniati e sfamare gli affamati non sono più un gesto di solidarietà ma un gesto di infinita carità. Quella carità a cui ha più volte richiamato il papa in molte occasioni, quella virtù che libera la Chiesa dall’obbligo alla solidarietà per riportarla nei suoi più giusti binari della carità. Ripartendo dal rapporto con Dio ciascuno di noi si riapproprierà dunque delle sue origini e la Chiesa stessa dovrebbe ricordarsi di questa priorità perché altrimenti si troverebbe relegata ad essere l’ennesima ONG snaturandosi così in un nobile gesto ma che le impedisce di continuare a trasmettere il messaggio di Salvezza del Padre che è in realtà la Sua unica e primaria missione.
Claudio