13 dicembre 2020
V DOMENICA DI AVVENTO (B)
Giovanni 1,19-28
Riflessione a cura di don Erminio Villa.
1. Solo voce
Sarebbe stato facile per il Battista rispondere a quanti gli chiedevano di dichiarare la sua identità: Sì, sono io il Cristo, il Messia atteso. Grande era l’interesse della gente nei suoi confronti: per il suo stile di vita austero, per la sua predicazione infuocata, per il suo coraggio nel denunciare il comportamento immorale di Erode, il sovrano, fino a subire il carcere. E infatti a lui accorrevano le folle per il gesto di purificazione nelle acque del fiume Giordano. E attorno a lui si erano raccolti giovani discepoli.
Giovanni avrebbe potuto sfruttare a suo vantaggio il suo grande fascino sulla gente. E invece a chi gli domanda se sei il Cristo, cioè l’Unto del Signore, il suo Inviato, oppure sei Elia o il profeta, risponde con disarmante semplicità: “Io sono voce… solo voce che nemmeno dice parole sue, ma riprende antichi annunci del profeta Isaia: Rendete diritta la via del Signore”.
2. Una lezione di umiltà e di coraggio
Si tratta di imparare dal Precursore questa lezione importantissima: il coraggio di dire “non sono io”. Ossia l’onestà di presentare Colui che è l’atteso, Colui che offre tutte le garanzie, Colui che non delude, senza tentare il gioco pericoloso dello scambio delle parti… Interrogato, Giovanni per tre volte dice chi “non è” e cita tre figure specifiche del giudaismo: Cristo, cioè il Messia, Elia e il profeta: questi personaggi, appartenenti all’immaginario escatologico e messianico di Israele, sarebbero dovuti venire negli ultimi tempi…
Nel caso il Protagonista tardasse ad arrivare, suo (e nostro) compito è quello di alimentare, sostenere l’attesa, purificare lo sguardo per essere in grado di riconoscerlo; non di sostituirlo. Invece, purtroppo, l’esperienza della frammentazione caratterizza la nostra società e la nostra cultura!
Viviamo in superficie, siamo costretti a farlo. L’accelerazione del tempo riduce sempre più gli spazi da dedicare al silenzio, alla riflessione. Non abbiamo neppure più il tempo di pregare… La fede cristiana stessa non viene percepita come cammino verso Dio, esperienza di interiorità!
Il Battista non si prende per Dio, non ha nessun delirio di onnipotenza! Non così il nostro mondo: ci sentiamo adolescenzialmente travolti dal delirio di onnipotenza: devi riuscire, affermarti, farti valere: e così manipoliamo geneticamente la vita, cambiamo il corso della natura, la scienza ci fa credere di essere onnipotenti. Nel nostro mondo superefficiente, in cui la validità della persona si misura dalla sua produttività, il Battista sarebbe considerato un eccentrico, un fannullone, un poco di buono…!
3. Cosa dici di te stesso?
La domanda rivolta a Giovanni Battista è, in effetti, rivolta a ciascuno di noi. Mettersi alla sequela di Gesù richiede anzitutto la volontà di interrogarsi su se stessi. È come se l’autocoscienza, l’autenticità, fosse una specie di dato fondamentale per incontrare Dio. Cosa dite di voi stessi? Non quello che dicono gli altri, quello che vorreste dicessero. Tu cosa dici di te? Il mondo ci ha disabituato all’introspezione, a quello che una volta era “l’esame di coscienza”! È come se Giovanni dicesse: se non hai il coraggio di entrare “dentro” non potrai mai incontrare il Messia, né accorgerti di chi lo indica come Salvatore del mondo.
Non a caso l’evangelista fa incominciare la risposta di Giovanni con l’espressione “egò foné“, cioè “Io voce” evitando di mettere il verbo essere, come è stato tradotto in italiano “io sono voce”, perché l’espressione “egò eìmi“, cioè “Io sono” l’autore del quarto vangelo la riserva soltanto a Dio, e Giovanni non è tale. Il Battista così si presenta come un profeta che si pone a servizio di Dio, dandogli voce, così che essa possa risuonare nella storia.
-- don Erminio