6 febbraio 2022
V DOPO L’EPIFANIA (C)
Matteo 8,5-13
Riflessione a cura di don Erminio Villa.
1. La compassione della debolezza
Gesù lasciata Nazareth sceglie di fermarsi a Cafarnao; gli si avvicina un centurione, un estraneo:
- come indole e modo di vita, infatti è un soldato abituato a metodi duri;
- politicamente, poiché è parte della potenza colonizzatrice che opprimeva Israele;
- dal punto di vista religioso, è un pagano estraneo al culto e alle tradizioni d’Israele.
Un muro separa il centurione da Gesù, ed è forse proprio quello che la gente pensa vedendo avvicinarsi il soldato al Signore: è un nemico di cui diffidare, un tipo da cui difendersi.
Ma Matteo racconta qualcosa di imprevedibile: avviene un vero incontro, profondo e personale: il centurione cerca Gesù e gli va incontro per primo, ma anche Gesù cerca lui, entra nel suo mondo.
Il punto che interessa entrambi e sconvolge ogni legge sociale e religiosa è un umile letto dove giace un servo, paralizzato e sofferente “terribilmente”, specifica l’evangelista.
Ancora una volta al centro di tutta la vicenda c’è un estraneo a tutti gli altri protagonisti. Quel letto di dolore è il luogo dal quale il soldato romano aveva tratto la forza interiore per superare tutte quelle differenze, ed è anche lo stesso a cui Gesù vuole arrivare.
La fragilità di un debole malato, il suo dolore “terribile”, sprigiona un’energia che mette in moto un uomo potente, e Dio stesso, e stravolge la realtà così come normalmente è, piena di distanze ed impedimenti, fino a piegare la volontà dell’uomo e di Dio: questo è il primo miracolo!
Ogni differenza, ogni diffidenza, ogni impossibilità è spazzata via dalla compassione.
2. Il paradosso della fede (di un pagano)
Molto probabilmente quel romano sapeva assai poco della fede di Israele, ma ne ha ugualmente fatto suo il messaggio più profondo, e cioè: lasciarsi piegare dalla compassione per un debole e affidarsi alla compassione di Dio per il debole che ciascuno di noi è.
Il centurione esprime questa sua fede nel suo dialogo con Gesù, un discorso non proprio religioso, ma che fa capire la comprensione profonda che il centurione matura di sé e di chi ha difronte.
Infatti, se l’incontro con il dolore del servo ha spalancato al centurione la coscienza della propria impotenza e debolezza davanti al male, nonostante il rilevante ruolo sociale e militare, il suo affetto per quel malato gli fa cercare Dio, anche senza saperlo.
È quanto accade anche nel racconto del giudizio finale in Matteo 25. C’è un grande stupore da parte di tutti: “Signore, ma quando mai ti abbiamo visto..?”. È il paradosso di una fede che prima d’essere adesione a una verità, è amore praticato verso una persona fragile.
Ed è la compassione piena di affetto che fa nascere la fede; senza di essa la fede è morta. L’amore per quel servo ha reso il centurione familiare di Dio prima ancora di incontrarlo in Gesù, ed ora il fatto che il Maestro abbia accettato di recarsi a casa sua e di guarire il servo suscita in lui il desiderio che anche la propria debolezza e impotenza davanti al male sia sanata.
Per questo riconosce con umile ammissione, davanti a tutti, la propria indegnità, senza temere di vedere diminuito il proprio ruolo sociale. Con la sua dichiarazione è esempio di fede per noi: cosciente dei propri limiti e del proprio peccato, si prepara a ricevere Gesù nella propria esistenza perché operi il miracolo della guarigione. La sua fede diventa la nostra, prima della comunione…!
3. L’ammirazione di Gesù
Gesù esprime il proprio stupore davanti alla fede del centurione, che non solo ha avuto compassione di un semplice servo sofferente, non solo si è fatto incontro a lui chiedendone la guarigione, ma ha messo tutta la propria esistenza nella mani del Signore, scoprendosi debole e bisognoso.
Per Gesù è uno squarcio di regno di Dio che si è manifestato: “presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande. …molti verranno e siederanno a mensa nel regno dei cieli.”
Quel Regno che Gesù è venuto ad inaugurare, è piccolo come un seme, ma germoglia ogni volta che la debolezza di un povero ci muove a compassione e ci fa scoprire la nostra stessa personale debolezza e il nostro comune bisogno che sia Dio a guarirci entrambi.
-- don Erminio