AFFEZIONE – Innominato
Tutt’a un tratto, gli tornarono in mente parole che aveva sentite e risentite, poche ore prima:
“Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia!”.
E non gli tornava già con quell’accento d’umile preghiera, con cui erano state proferite;
ma con un suono pieno d’autorità, e che insieme induceva una lontana speranza.
(Alessandro Manzoni)
Nel castello dell’anima ci si può rinchiudere e rintanare. Ma avviene sempre, prima o poi, la sollecitudine ad un evento perché Dio “vede e sa che la loro sorte è penosa” (Sir 18,12a).
Con il punto di non ritorno del Divino occorre fare i conti, prima o poi. Rinchiudersi non basta ad allontanarci da uno sguardo d’affezione che ci eleva a (s)oggetti desiderati. Sappiamo, in fondo, che la solitudine auto-prescritta a placebo dell’io, non potrà mai soddisfare il bisogno di cui siamo fatti.
Un innominato, tenuto alla larga dai compaesani – loro traditore – riceve tale annuncio di Vangelo – definitiva epifania. Il vissuto umano è gonfio di innominati sconfitti nel loro ego da una “pietà” (Sir 18,14a) che ha a cuore le loro pene.
Zaccheo diviene luogo privilegiato del Suo rivelarsi. E’ “capo dei pubblicani e ricco” (Lc 19,2b) quell’uomo che cerca “di vedere chi era Gesù” (Lc 19,3a). Non era certo ben visto dai suoi, considerato un pubblico peccatore a causa del suo compromesso con gli stranieri dominatori.
Si avvicina per vedere Costui che giunge ma si scoprirà lui stesso visto per primo; chiamato per primo, lui senza più un nome.
In mezzo alla ressa, sale su un albero; è spinto dalla curiosità, e “piccolo di statura” (Lc 19,3b) non si arrende. Assecondò il bisogno del cuore ad un maggior desiderio.
E scoprirà, qui solo isolato su di un ramo, la sollecitudine all’evento: “oggi devo fermarmi a casa tua” (Lc 19,5b). Il Vangelo della misericordia conosce solo il tempo presente; ieri estraneo e domani tardivo. Oggi diviene contemporaneità a me-accessibile.
Zaccheo, come l’Innominato, conosce, in un incontro di affetto, la possibilità della contemporaneità. L’irrompere della “sua misericordia” (Sir 18,11b) non domanda giustificazione del passato ma l’assorbe in Sé: “non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe” (Sal 103,10). Chi potrebbe resistere, altrimenti?
Non vi è alcuna legge del taglione, piuttosto è un “far prevalere nei suoi riguardi la carità” (2Cor 2,8). Se le accuse, le minacce, gli sguardi incattiviti dei compaesani lo avevano portato ad allontanarsi dalla civitas, uno sguardo, il nome pronunciato ad alta voce, l’auto-invito in casa propria lo portarono a cambiare parametri di vita.
L’affezione sola, corrispondendo al bisogno innato dell’uomo, è in grado di riaprire scenari posti sotto sequestro. Se l’Ospite è accolto, tutto ridiventa famigliare: “io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto” (Lc 19,8). Non c’è più alcuna estraneità.
Accogliere il Vangelo della misericordia ha, dunque, anche un carattere di ordinamento sociale. Zaccheo, da quell’oggi divenne cittadino migliore, uomo in grado di intessere legami solidi e buoni nella società. Travolto da un perdono immeritato, avverte il bisogno di una riparazione.
E’ solo nella società, riacquisendo il proprio nome, che si gioca la definitività della Sua epifania, divenendone Sua altra. Quell’uomo, quel giorno, divenne sollecitudine del Suo esserci.
Alessandro