SYMBOLUM – ipersenso
Possiamo perdonare un bambino
quando ha paura del buio.
La vera tragedia della vita
è quando un uomo ha paura della luce.
(Platone)
Vedere è finestrarsi sul mondo; le cose catalogate e riconosciute. Gli occhi sono porti aperti all’orizzonte mozzafiato della vita. Trampolini di lancio fuori-di-sé; oblò di una nave spinta nel mezzo dell’oceano.
Colori, dimensioni, misure: la vista ci perme un ridimensionamento dell’io nei confronti dello spazio occupato. Ci abilita a stare tra l’altro.
Credere come un vedere – “Lo hai visto…Credo, Signore!” (Gv 9,37a.38a) -; i ciechi dei racconti evangelici sono continuo segno alla fede.
“Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo” (Gv 9,5) perché in Lui il senso del vedere diventi un vederne il senso. Palesandosi come luce si pone come abilitatore di visuale attraverso Cui tutto assume senso.
Quel pover’uomo incontrato fuori dal tempio è “cieco dalla nascita” (Gv 9,1b): la sua apertura a tutto l’altro è menomata. Non fu guarigione. Ma (ri)creazione: ritessuti furono la pupilla e l’iride mai formate. Cristo giocò con il “fango” (Gv 9,6) come vide all’origine di tutto; si ricordò di che sostanza fosse.
Tale è l’itinerario di fede; cammino battesimale di conversione. Abbiamo bisogno di Qualcuno in grado di aprirci gli occhi rendendoci aperti alla realtà. Ricettivi e accoglienti.
Nel cammino della vita può capitare di accontentarsi di uno “splendore effimero” (2Cor 3,7b); fuochi d’artifizio della durata di istante. Scoprire che non siamo fatti per la brevità, che non ci soddisfa, significa tendere ad altro.
Come Mosè il neo-vedente tornò e “non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante” (Es 34,29b). E nemmeno sapeva Chi fosse a dare quell’ordine: “Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe” (Gv 9,7a). Nel buio, l’obbedienza; dall’obbedire la testimonianza.
Venne alla luce; e la mantenne.
Dovette, da solo, affrontare “con molta franchezza” (2Cor 3,12b) sconosciuti improvvisati a nemici. Chi gli diede capacità di apertura divenne Assenza. In quel tribunale improvvisato dovette difendere qualcosa di più grande di lui; dono ricevuto senza merito.
Può sembrare anche a noi di essere soli. L’inizio generativo e la fine densi di Presenza lasciano il tempo dell’intermezzo alla testimonianza; da soli di fronte a tutto il resto, tutto l’altro.
Stiamo vivendo un tempo di intermezzo surreale. E il tempo stesso ci interroga: “Tu, che cosa dici di lui?” (Gv 9,17a). Quaresima è tempo di domanda e riflessione, spazio di un Tu aperto e apritore. Di Chi vuole essere segno-senso di tutto.
Quaresima è scoprire tutto questo altro.
Alessandro