L’Arcivescovo Mario sabato 9 giugno ha presieduto il mandato missionario durante Luce nella Notte che si è svolta presso la basilica sant’Eustorgio di Milano. Ai giovani evangelizzatori ha rivolto queste parole:
Vorrei dirvi una parola per incoraggiare il vostro andare e il vostro restare, il vostro parlare e il vostro tacere, il vostro cantare e il vostro confessare. Vorrei dire una parola su che cos’è, su come vedo, su come raccomando che sia la Missione. Lo dico con delle – diciamo così – alternative, sperando di non essere troppo “separatista”, troppo “divisivo”.
La Missione non è un protagonismo, ma una docilità. Non è il carattere esuberante o il coraggio che si espone senza complessi che rende missionaria una persona. Non chi dice “Ma io sono timido!”, “Ma io non riesco a parlare!”, “Ma io non so rispondere alle domande!” può dire “Allora io non vado bene per la Missione!”. La Missione è una docilità, non un protagonismo. È per questo che dobbiamo imparare quell’arte di lasciarci condurre. Spesso lo Spirito… la stessa parola, Spirito, vuol dire “vento”, vuol dire “soffio” e, quindi, è come la barca che apre la vela. Ecco, il vento amico la spinge. Non c’è bisogno dei remi, non c’è bisogno del motore che fa rumore, dei remi che affaticano: c’è il vento. D’altra parte, siamo noi che dobbiamo parlare, che dobbiamo cominciare ad attaccare discorso con qualcuno, però, ecco, nella forma della docilità, dell’essere condotti. E questo lo si impara solo nella preghiera.
La seconda contrapposizione vorrei esprimerla così: la Missione non è una conquista, ma un’attrattiva. La Missione non è aggredire qualcuno per convincerlo, per costringerlo, per fargli balenare l’idea che c’è qualcosa da guadagnarci nell’aggregarsi a noi, alla Chiesa, al movimento, al gruppo. La Missione è piuttosto un’attrattiva. È come un irradiarsi della gioia piuttosto che un imporsi di un comandamento. “Un’attrattiva” vuol dire che la nostra gioia, la nostra capacità di volerci bene, la nostra semplicità di accettarci così come siamo dovrebbe essere proposto così, semplicemente, come qualcosa che attira, che dice “Ma allora c’è posto anche per me!”, “Allora forse anch’io!”, “Allora sarebbe bello che fosse così!”. Ecco, un’attrattiva più che una conquista.
Un’altra alternativa che voglio segnalare come un modo per pensare la Missione – e anche questo piccolo esercizio di Missione che è l’andare questa sera per le strade di Milano – è questa: la Missione non è il raccolto, la mietitura, ma è la seminagione. È seminare, non mietere. Quindi, vuol dire: non si sa che cosa succederà per una parola che io dico, per un gesto che io faccio, per un invito che rivolgo. Non si sa. Magari, sul momento, non produce nulla; magari, addirittura, ha una risposta di scherno o d’indifferenza o di polemica. Non si sa. Però, ecco, è un seminare. Il Regno di Dio è come quell’uomo che getta il seme e poi, che lui vegli o che lui dorma, il seme cresce. Per cui noi non siamo autorizzati a controllare i risultati, a fare il conto delle nostre conquiste. Siamo invece incaricati di seminare, di dire quelle cose che sono vere, che sono buone, che sono adatte a noi e quindi presumiamo possano aiutare anche altri. Magari non subito, magari non quelli a cui le diciamo, ma quelli che per caso le sentono. Chi lo sa? È un seminare, non è un raccogliere.
La Missione, ancora, non è un’impresa per solitari, ma un frutto della comunione. Non è questo movimento, questa persona, questo carisma che interpreta la Missione. La Missione è la Chiesa, è la presenza di una comunione che accoglie, che perdona, che consola, che rimprovera, che chiama a conversione, con tutti i linguaggi – ciascuno poi troverà quello che gli è più congeniale o troverà quello che è più adatto nella situazione – però non è mai un’impresa solitaria. Gesù ha mandato i suoi discepoli a due a due e ha sempre detto: “Non è bene che l’uomo sia solo”. E non è soltanto per colmare qualche deficienza affettiva ma perché così siamo fatti: non possiamo vivere che in relazione. La Missione, dunque, non è un’impresa solitaria ma è il frutto di una comunione.
Ecco, questi pensieri volevo condividere per dirvi la mia gratitudine per quello che fate, che farete, che avete fatto per Milano, per incoraggiare il vostro cammino, la vostra preghiera, per consolare, magari, anche le frustrazioni, il senso di fallimento che qualche volta ci prende quando ci mettiamo un po’ a pensare che cosa abbiamo combinato. Qui, davanti all’Eucarestia, a questo gesto che ricorda che Gesù ci ha salvati con la sua morte, col suo fallimento, noi possiamo guardare con serenità anche al nostro cammino.
La Missione non è un protagonismo ma una docilità.
La Missione non è una conquista ma un’attrattiva.
La Missione non è il tempo del raccolto ma quello della semina.
La Missione non è un’impresa solitaria, ma un irradiarsi della comunione.
Perciò vi dico: “Andate in Missione!”