2 febbraio 2020
IV DOMENICA DOPO L’EPIFANIA
Luca 2, 22-33
Riflessione a cura di don Erminio Villa
1. “Portarono il bambino a Gerusalemme, per offrirlo al Signore“.
Maria e Giuseppe si recano nel Tempio con la gioia di due giovani sposi cui è nato un figlio. Ma sono anche consapevoli che non gli appartiene, perché porta nella sua carne l’impronta di Dio.
L’esperienza più ordinaria s’intreccia con quella più straordinaria.
Il Mistero è nascosto nella storia! Immaginiamo la loro trepidazione.
Altre volte sono andati al Tempio, come umili pellegrini confusi tra la folla; anche in questo caso tutto è avvolto dalla quotidianità, ma loro sanno di custodire il mistero di Dio.
Il bambino non può ancora parlare, ma anche loro sono in-fanti, non sanno parlare, non hanno parole per spiegare l’evento, potrebbero raccontare i fatti accaduti, ma tutto appare così incredibile.
Anche ai loro occhi è meglio tacere e lasciare che sia Dio a parlare.
E Dio parla attraverso il vecchio Simeone che prende tra le sue braccia il Bambino e dice parole misteriose e sorprendenti, anche per Maria e Giuseppe (2, 33).
2. Vivere in compagnia di Dio non significa camminare lungo strade fasciate di luce.
Al contrario: chi vuole arrivare alla Luce che non conosce, deve avere il coraggio di esplorare vie che non ha mai percorso.
Maria e Giuseppe hanno ricevuto la visita degli angeli, hanno accolto parole misteriose che vengono dal Cielo, eppure restano in silenzio. Profeti muti.
Il loro silenzio è al servizio di quella Parola. Non pretendono di capire tutto né di spiegare tutto. Portano tra le braccia Colui che è la definitiva Parola Dio, che il tempo non potrà consumare.
Chi porta Gesù deve lasciare a Lui il primo posto, non poche volte le nostre parole soffocano l’eterna Parola, la nostra ansia di protagonismo toglie a Dio il posto che gli spetta.
“Dio, il primo servito”: era la regola della famiglia Martin, che aveva scelto la Famiglia di Nazaret come modello ideale. Dia anche a noi il Signore la grazia del silenzio orante…
3. “Portarono il bambino a Gerusalemme, per offrirlo al Signore”.
Il figlio è loro, eppure non è loro. Il figlio è dato, ma subito è offerto ad un altro sogno. I genitori intrecciano così il destino di una famiglia e il destino del mondo.
Lì, nel tempio, incontrano Simeone e Anna, due anziani straordinari, carichi di anni, ma vivi dentro; non chiusi custodi di ricordi, ma profeti di futuro, aperti agli altri: simboli grandi di una vecchiaia sapiente e viva, che vede ciò che altri non vedono ancora.
Simeone sale al tempio, ha fiducia, aspetta, nonostante l’età avanzata.
E fa bene. Vede una giovane madre, che stringe un neonato avvolto in un manto, accanto a lei il suo sposo, che porta due colombe per il sacrificio, l’offerta dei poveri. E capisce. Perciò loda e ringrazia Dio di essersi manifestato così: nella debolezza della carne rifulge davanti a tutti la luce del mondo. Che folle, la logica di Dio!
4. “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti, segno di contraddizione”.
Tre parole che danno respiro alla vita: contraddizione nel cuore della logica umana, rovina di idoli e illusioni, risurrezione di tutti i germi vitali e amorosi ai quali non riusciamo a dare respiro e terreno.
5. “Anche a te una spada, Maria”:
Simeone lega Maria non solo alla croce del figlio, ma a tutta la messe di lacrime e di contraddizioni del Vangelo e dell’esistenza. Non è esente.
La fede non produce l’anestesia del vivere. La fede e la santità non sono, per lei come per noi, un’assicurazione contro la sofferenza o i lutti o le disgrazie. Il dolore la legherà a tutti i trafitti .