19 marzo 2023
IV DI QUARESIMA (A)
Giovanni 9,1-38b
Riflessione a cura di don Erminio Villa.
1. Problemi di vista
“Passando, vide un uomo cieco dalla nascita”: c’è chi vede, Gesù; c’è chi non vede, il cieco; e ci sono tanti altri che hanno problemi sul fronte del vedere.
Hanno problemi i discepoli: vedono con gli occhi il cieco, poi cercano di andare oltre il dato materiale della cecità rilevata, per arrivare a scorgere il perché, e si smarriscono nel buio dell’errore.
Hanno problemi di vista i vicini, i conoscenti di contrada: hanno dubbi:“E’ lui? Non è lui?”.
Hanno problemi i genitori del cieco: vedono bene che loro figlio non è più quello di prima: ora ci vede: dei genitori come potrebbero rimanere indifferenti a una cosa come questa?
E invece questo papà e questa mamma fanno di tutto per non lasciarsi coinvolgere dalla cosa stupefacente, che è capitata al loro figlio.
Hanno problemi i farisei: vedono non a partire dagli occhi, ma dalle loro idee, dagli schemi ideologici.
Quel che Gesù ha fatto di sabato, contravviene al riposo del sabato, quindi è da loro malvisto. Qual è la conclusione, alla quale l’evangelista ci porta dopo questa rassegna?
Gesù solo possiede la prerogativa di vedere pienamente. Lo spiega lui stesso: “Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo”.
E noi, condotti a questa conclusione, dobbiamo poi maturare questa persuasione: “Se voglio vedere la realtà in profondità, in pienezza, nella sua verità, nel suo senso ultimo, ho bisogno di Gesù, ho bisogno che Gesù mi illumini con la sua luce”. Se non c’è luce non si vede. Chi si rifiuta di fare riferimento a Gesù-luce, si preclude ogni possibilità di vedere.
2. Di chi è la colpa?
“Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori perché sia nato cieco?“. Non è una questione da poco, è una questione che spesso ci poniamo anche noi: “Qual è la parte che gioca Dio nei mali, nelle gravi menomazioni, che affliggono gli uomini?”.
I discepoli riproducono la mentalità corrente della loro gente: “Se c’è una grave malattia, se c’è una grave menomazione è segno che qualcuno ha commesso qualche peccato e Dio è intervenuto per castigare”.
Quindi la parte che gioca Dio è giudicare e castigare. Su questa questione davvero importante Gesù butta la sua luce, facendo emergere una verità positivamente sorprendente:
“Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio“. “La parte di Dio non è giudicare e castigare, ma manifestare quell’opera, che è sua, conforme alla sua identità profonda, cioè amare, essere misericordioso, portare salvezza”.
Questo è il senso dell’affermazione di Gesù. Subito dopo compie il miracolo, donando la vista al cieco: questo miracolo è il segno, a cui Gesù ricorre, per manifestare, per mettere in atto questo suo insegnamento: “Dando la vista a questo cieco, io vi mostro che Dio interviene non a castigo, ma a beneficio di quest’uomo”.
Questa verità sta alla base della comunità cristiana, costituita di peccatori, che hanno incontrato e accolto nella fede la potenza liberatrice di Gesù. Questa verità poi deve comandare lo stile di presenza e di azione della Chiesa in mezzo all’umanità:la comunità cristiana deve accostare il male dell’umanità non prima di tutto o esclusivamente per segnalarlo, denunciarlo, stigmatizzarlo, condannarlo: il male ha già una sua evidenza e una sua prepotenza, che inducono alla resa: “No, non ce la farò mai a vincere il male!”
A partire dalla esperienza di misericordia, che sta alla base della sua vita, la comunità cristiana deve accostare il male dell’umanità per aiutare gli uomini ad avvertire che proprio lì, in quello spazio che avvertono come dominato da una fragilità invincibile, da un’impotenza assoluta, Dio si rende presente come amore che perdona, libera e salva.
-- don Erminio