Quale carità? di pFra

Spesso nelle comunità cristiane e nelle parrocchie si sentono lamentele e critiche tra i componenti: devo fare tutto io? Mi escludono? Non mi capiscono? Quello non è capace di fare questo? Quella persona fa le cose solo per farsi vedere? Predica bene e razzola male …
Siamo portati ad evidenziare sempre quello che non va.

Questo atteggiamento, a mio parere, evidenzia una ricerca di perfezionismo, di una comunità perfetta che vive alla lettera il Vangelo senza imperfezioni … impossibile!!!! Gesù ci sta chiedendo questo? Nel libro degli Atti è affermato: “Un cuore solo e un’anima sola”. Si pone la comunità di Gerusalemme come la comunità esemplare a cui fare riferimento, una idealità da ricercare e custodire per la sua armonia e vita fraterna. Il Vangelo di Giovanni (Gv 13) evidenzia un comandamento nuovo che Gesù da ai suoi discepoli: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri”.
Le nostre comunità, però, non sono sempre così.

Gesù ci da un ideale a cui tendere, ma non è un idealista, anzi è realista e sa bene come le comunità cristiane, come ogni comunità umana, abbia le sue fragilità e che sia composta da persone fragili. Quale amore ci sta indicando? Un amore perfezionista? … Dove non si commettono errori, dove si riesce a stare attenti a tutti i particolari … dove stiamo bene insieme vivendo in sintonia perfetta, dove le cose funzionano, dove non ci sono dissidi perché ci si riesce sempre a comprendersi e a collaborare.

La Chiesa è composta da persone che hanno le loro fragilità, immaturità, superficialità, … e quindi non può esistere una comunità perfettamente coerente e in armonia con il Vangelo.
Anche papa Francesco in Amoris Laetitiae (n 325) afferma: “Smettere di pretendere dalle relazioni interpersonali una perfezione, una purezza di intenzioni e una coerenza che potremo trovare solo nel Regno definitivo”.
Come fare? Qui sta il bello … amatevi gli uni gli altri, conoscendosi bene non solo nelle qualità, ma nelle fragilità e immaturità di ognuno. Gesù incoraggia l’amore reciproco a persone che vivono con lotta e fatica disarmonie, immaturità, … Anzi Gesù ci invita a dare il meglio del nostro amore alle persone prendendosi cura delle proprie e altrui fragilità e miserie.
Il cristiano non ama nonostante il peccato o mancanza dell’altro: “Passiamo oltre, … facciamo finta che non sia successo, …”; ma dentro la mancanza e il peccato dell’altro, proprio come Gesù. Amare come Gesù vuol dire amare il peccatore, non nonostante il suo peccato, ma nel suo peccato. Nel peccato, per il peccato dell’uomo che Gesù ha rivelato il suo amore più grande “dare la vita”, morendo sulla croce.

Nel peccato si sperimenta l’amore di Dio più grande: la carità, la misericordia e il perdono.
La carità, l’amore più grande e divino, non si rivela in una comunità perfetta e capace di fare bene e del bene, ma in una comunità di peccatori, prendendosi a cuore le miserie e le lentezze proprie e dell’altro. La vera carità non è pretendere che l’altro corrisponda con coerenza alle mie aspettative, pur giuste ed evangeliche, ma prendere a cuore ed accompagnare le fragilità proprie ed altrui.

La Chiesa è una comunità umana che si prende il lusso di far convivere l’ideale evangelico e le fragilità umana senza paura, perché è certa che solo nel peccato si può sperimentare l’amore più grande, la misericordia: “Dove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia”.

La Chiesa è il luogo dove non si cerca la perfezione etico-evangelica, ma la relazione evangelica: amare come Gesù.

pFra