Rinnegare se stessi

21 luglio 2024
IX DOMENICA DOPO PENTECOSTE (B)
Marco 8,34-38

Riflessione a cura di don Erminio Villa.

1. Rinnegare se stessi

Gesù rivela la sua identità: dice chi è, qual è il suo messaggio paradossale. La prima proposta è: rinnegare sé stessi, prendere la croce, perdere la propria vita. Rinnegare sé stesso è il contrario di ciò che ci auguriamo: auto affermarci, sentirci realizzati: “Chi si vergognerà di me e delle mie parole, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui”.

Ma di che vergogna parla Gesù? Questa vergogna non sta nelle sue belle parole sul perdono/l’amore fraterno, ma nella sua identità. Il rinnegatore è colui che si vergogna di dire “chi” Gesù è, pur sapendolo benissimo.

E chi “è”, allora, Gesù? Il vangelo di Marco dice che Gesù è il Cristo, ed è insieme il crocifisso. L’aspetto vergognoso è proprio nell’associazione tra le due cose. Il Cristo atteso da Israele non può morire così. Invece proprio quel Gesù, morto in quel modo, è risorto, quindi è veramente il Cristo, come aveva detto. 

2. Prendere la croce (parola estremamente ambigua)

Nella nostra cultura è diventata sinonimo di passività, accettazione paziente dei fatti. Ai malati diciamo, con un patetico sospiro, di accettare la croce. Siamo inoltre silenziosamente convinti che questo Dio buono e magnanimo, come un grande falegname, ha preparato per tutti quanti una croce da portare, per alcuni più grande, per altri più piccola, ed essa va appunto accettata, se non si vuol correre il rischio di incontrarne una peggiore. 

La croce diventa simbolo dell’uomo inchiodato ai suoi limiti. È l’alternativa a ciò che piace, a ciò che vorremmo. Il vangelo però non parla mai di accettare la croce. Casomai dice di prenderla, sollevarla, caricarsela sulle spalle di propria iniziativa (Mc 8,34). La croce è nel vangelo una scelta positiva, fatta coscientemente, senza obbligo. La sequela del cristiano si delinea come la scelta precisa dell’oggetto di maggiore attrazione. 

Non si tratta insomma di smettere di godere della vita, ma di accogliere il messaggio che la vera gioia sta nel perderla per un motivo più grande della vita stessa. 

Gesù per primo prende la sua croce e rinnega il suo successo, la sua fama, le sue possibilità future;“prende” una croce che poteva benissimo evitare stando un po’ più attento nel parlare ai farisei, evitando di andare a Gerusalemme, fermando per tempo Giuda… Non si sottrae alla sua croce, se la carica coscientemente sulle spalle, perché non vuole rimangiarsi tutto quello che ha detto e fatto. Gesù sceglie quella morte, di salire su quella croce perché con quella morte deve dirci qualcosa. 

Nella sofferenza noi non siamo chiamati a “prendere la croce”, infatti siamo già in croce anche se nessuno ci ha chiesto il permesso. Nella sofferenza noi sappiamo che Dio ci è vicino ed ha provato quello che noi proviamo. Prendere la croce significa imboccare la via della verità a qualunque costo.

3. Seguire Lui

Dire chi vuol venire dietro a me mi segua sembra una inutile tautologia. Ma “andare dietro” o “seguire” i suoi passi è un invito ripetuto spesso. “Stargli dietro” vuol dire convertirsi e credere al vangelo. 

Ora è giunto il tempo di “credere” al vangelo. Quale vangelo? Che “buona notizia”? Credete alla mia resurrezione, dice Gesù. Questo è “seguirlo”. Questo è vedere il regno di Dio. Questo è convertirsi, che significa “cambiare cuore”, cambiare direzione ai propri piedi. Quanta differenza tra questo modo di “seguire” Gesù e quello che tante volte intendiamo: comportarsi bene, pregare, andare a messa, seguire i suoi insegnamenti; invece vuol dire semplicemente “credere al vangelo”: fidarsi, obbedire alla parola, imitarlo…

Si rinnega sé stessi perché si è capito che è guadagno, si prende la croce perché ci si sente attirati realmente da qualcosa che ci fa passare di lì, si segue Cristo perché lo si ama e si “crede” alle sue parole.

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don Erminio